Così Denis «il mite» ha fermato il presidente

by Sergio Segio | 2 Settembre 2013 6:48

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Poi l’annuncio a sorpresa ai «suoi» Stimato McDonough è molto apprezzato perché è sempre pronto a prendersi gli incarichi più delicati Venerdì, quando alle sette di sera Barack Obama riunì il suo team per la sicurezza nazionale, tutti davano per scontato che il presidente avrebbe dato il via libera all’attacco: l’opzione sulla quale lui stesso si era esposto durante i meeting dei giorni precedenti. L’ipotesi di un voto del Congresso non era stata mai nemmeno presa in considerazione.
E infatti, quando i giornalisti chiedevano se questa ipotesi era sul tappeto, la risposta era sempre perentoria: «No, il voto non serve e l’azione deve essere rapida perché ogni rinvio renderebbe Assad più baldanzoso». E’ anche con questi argomenti che venerdì sera diversi collaboratori – soprattutto Susan Rice, capo del Consiglio per la Sicurezza Nazionale e il ministro della Difesa, Chuck Hagel – hanno cercato per ben due ore di fargli cambiare idea. Ma Obama è stato irremovibile.
«L’imprevedibilità è il tratto principale di Obama» raccontò tempo fa l’ex capo della Federal Reserve Paul Volcker che nel 2009 fu per qualche tempo un consigliere della Casa Bianca sull’economia. «Lui ti ascolta, discute, sembra condividere il tuo punto di vista. Ma alla fine non capisci mai cosa pensa davvero e che cosa farà». E’ successo di nuovo – e stavolta sotto gli occhi di tutto il mondo – l’altra sera quando Obama si è trovato davanti a una delle decisioni più difficili della sua presidenza. Una scelta destinata a plasmare un pezzo importante dell’eredità che questo presidente lascerà impressa nella storia americana. Così, dopo aver fatto credere che l’attacco era ormai questione di ore, ha improvvisamente cambiato rotta prendendo tutti in contropiede: alleati, avversari, ma soprattutto i suoi stessi collaboratori.
Bè, tutti tutti proprio no. Ce n’è uno, il capo di gabinetto Denis McDonough, che certamente ha saputo prima e probabilmente ha condiviso fin dall’inizio i dubbi del presidente sull’opportunità di lanciare un attacco che, giustificato in linea di principio da considerazioni umanitarie e dalla necessità di punire duramente chi usa armi chimiche, non ha una copertura giuridica internazionale né è una vera iniziativa multilaterale. Mentre all’interno, alla spia rossa dei sondaggi che indicano la contrarietà della maggioranza degli americani all’intervento militare, nelle ultime ore si erano aggiunti i mugugni del Congresso.
Obama che ha un rapporto molto stretto, di grande confidenza, con McDonough, a metà del pomeriggio è uscito con lui nel giardino della Casa Bianca per una passeggiata durata 45 minuti. Al ritorno la decisione era presa. Quasi certamente col contributo decisivo di questo giovane funzionario (43 anni) che alla Casa Bianca è la voce della cautela. Uno che tiene un’accurata contabilità dei costi umani, politici ed economici del coinvolgimento americano in conflitti più o meno lontani e che, nel caso della Siria, aveva avvertito fin dall’inizio che l’America si stava muovendo su un terreno molto scivoloso. Perché non prendere tempo e responsabilizzare il Parlamento visto che il generale Dempsey, il capo delle Forze armate, dice che il momento dell’attacco non è un fattore rilevante?
McDonough è molto apprezzato da Obama ma anche molto amato dal personale della Casa Bianca per il suo garbo, l’atteggiamento umile, la grande capacità di lavoro. «Educato», «calmo», «ascetico», «mite», «intenso» sono gli aggettivi usati dai suoi biografi per descriverlo. A Washington chi riceve una telefonata da un alto funzionario della Casa Bianca deve sempre sforzarsi di capire se questo sta parlando per sé stesso o per il presidente. Solo con McDonough non si fatica: lui parla sempre per Obama.
E dire che questo giovanottone del Minnesota, ex giocatore universitario di football americano, alla Casa Bianca c’è arrivato per caso. Lavorava per un parlamentare che perse le elezioni e nel 2007, quando il senatore Obama rimase per un po’ privo del suo consigliere di politica estera Mark Lippert (un riservista della Marina richiamato in servizio in Iraq), lo chiamò nel suo team come sostituto temporaneo. Ma l’«umile» McDonough si fece subito largo.
Vinte le elezioni e sbarcato alla Casa Bianca, Denis fece un utilissimo lavoro come capo della comunicazione strategica al Consiglio della Sicurezza Nazionale del quale, nel 2010, divenne vicecapo. Apprezzato dal presidente («Denis capisce sempre gli istinti e le preferenze di Obama» spiega chi lo conosce bene, «e non ha agende personali da anteporre a quelle del boss»), McDonough è molto amato anche dallo staff per la sua semplicità (fino a qualche tempo fa andava e veniva in bicicletta dalla sua casa nel Maryland) e perché è sempre pronto a prendersi gli incarichi più rognosi che gli altri evitano, come la gestione delle conseguenze dell’uccisione dell’ambasciatore Stevens a Bengasi.
Probabilmente è meno amato nel Consiglio per la Sicurezza Nazionale. Quando ne era a capo James Jones, un generale dei marines, si ritrovò spesso scavalcato dal suo vice che aveva un accesso diretto allo Studio Ovale. E oggi anche Susan Rice mastica amaro.
Massimo Gaggi

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