WikiLeaks: dal 2005 gli Usa pronti a destabilizzare Assad
Edward Snowden, l’ex consulente Cia che ha rivelato lo scandalo del Datagate, lo aveva già detto. Domenica, il settimanale tedesco Spiegel ha spiegato nei dettagli un’operazione in corso dall’estate del 2012. Mediante lo «special collection service», Washington ha anche sorvegliato illegalmente le comunicazioni di 80 paesi stranieri a partire dalle proprie ambasciate all’estero. Piani che – raccomandava la Nsa – dovevano rimanere ultrariservati «per evitare gravi danni alle relazioni con i paesi ospiti». L’Onu chiederà spiegazioni al governo Usa.
Altrettanto segreti avrebbero dovuto restare i piani di Washington sulla Siria. L’ambasciata Usa a Damasco progettava ingerenze fin dal dicembre 2006. Lo ha rivelato il sito Wikileaks in base alle informazioni dell’ex soldato Bradley Manning, condannato a 35 anni di carcere negli Stati uniti. Gli Usa si proponevano di approfittare «dell’inesperienza e degli eventuali errori politici» del presidente siriano Bashar al Assad. Intendevano provocare il fallimento delle sue previste riforme economiche, e usare contro di lui le buone relazioni intrattenute con l’Iran: aumentando lo scontento di molti sunniti siriani, preoccupati dalla «minaccia» sciita. Per questo, già dal 2005 erano entrati in contatto con persone interessate a valutare le prospettive di una Siria senza Assad.
In quegli anni, Barack Obama, allora senatore democratico dell’Illinois, aveva presentato diverse proposte per limitare i poteri di sorveglianza della Nsa, tutti bocciati dall’amministrazione Bush. Lo stesso anno della sua prima elezione, nel 2008, il presidente Usa ha però sostenuto attivamente il progetto di legge per l’adozione del programma Prism. Norme per le quali il governo non ha bisogno dell’autorizzazione del tribunale per raccogliere le informazioni su stranieri che risiedono fuori dagli Stati uniti. Su questa base, gli analisti possono richiedere i dati e le registrazioni alle compagnie che abbiano il 51% delle comunicazioni effettuate da persone straniere. Misure nel quadro del Patriot Act, dispositivo che determina le operazioni di sorveglianza Usa con particolari prerogative a partire dagli attentati dell’11 settembre 2001: anche all’insaputa dei cittadini.
Con il pretesto della «guerra al terrorismo» i servizi segreti inglesi si sono serviti a loro volta del programma Prism. Lo ha rivelato sul Guardian il giornalista Glenn Greenwald, che a giugno a raccolto le confessioni esplosive di Snowden. Tramite Greenwald, l’ex tecnico della Nsa qualche giorno fa è tornato a farsi sentire. Ha smentito di aver fornito informazioni all’Independent. Il quotidiano britannico aveva parlato dell’esistenza di una base segreta in Medio Oiente gestita dal Government Communications Headquarters (Gchq), l’intelligence inglese che ha partecipato al piano di intercettazioni illegali della Nsa. Da quella base, il Gchq intercetta e processa i dati trasmessi attraverso i cavi di fibra ottica sottomarini della regione – ha scritto The Independent senza rivelare il luogo in cui si trova il centro di spionaggio, ma suggerendo di aver avuto l’informazione da Snowden.
Secondo l’ex tecnico della Nsa, attualmente rifugiato per un anno in Russia, si tratta di un’operazione mediatica organizzata dal governo britannico per far credere che le informazioni pubblicate dal Guardian e dal Washington Post ostacolano la «guerra al terrorismo». In nome della sicurezza, l’intelligence nordamericana ha giustificato lo strapotere delle sue agenzie, mentre i servizi segreti britannici hanno compiuto «ogni genere di pressione» sul Guardian per fargli distruggere i file sul Datagate. Per continuare a pubblicare i documenti sul Gchq, il quotidiano ha deciso di costituire una rete di media disposti ad andare avanti, a cominciare dal New York Times.
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