Torna lo spettro della guerra civile, almeno 71 morti

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Ma non solo. Pesano i riflessi della guerra civile in corso nella confinante Siria e la riorganizzazione nel Paese di al Qaeda, responsabile di gran parte degli attentati di questi ultimi mesi. E’ di almeno 71 morti e oltre 200 feriti il bilancio dell’ultima ondata di attacchi con autobomba e kamikaze. Ieri mattina Baghdad e i dintorni della capitale irachena si sono trasformati in un inferno di esplosioni e fiamme.
Gli attentati sono avvenuti in successione, due dei quali sono stati compiuti da bombe umane, e hanno avuto per obiettivo i quartieri a maggioranza sciita, nell’ora in cui molte persone si recano al lavoro. Un kamikaze, alla guida di un’auto, si è fatto esplodere davanti a un posto di blocco della polizia. Appare inadeguato il lavoro delle forze di sicurezza che, pur impiegando migliaia di uomini, non riescono a prevenire il proseguimento del bagno di sangue.
L’Iraq è tornato ai livelli di violenza conosciuti nel 2008, anno nel quale il Paese ha visto un allentamento del sanguinoso conflitto interno a colpi di attentati e agguati (decine di migliaia i morti), seguito all’invasione anglo-americana nel 2003. Da inizio 2013, circa 4 mila iracheni sono morti in attentati e la carneficina non conosce soste. I più colpiti sono gli sciiti ma non mancano attacchi e rappresaglie anche a danno dei sunniti. Oltre mille iracheni sono stati uccisi in attacchi avvenuti a luglio, il numero più alto negli ultimi cinque mesi. Oltre a subire i riflessi del conflitto che devasta la Siria, l’Iraq è stretto in una morsa di violenza di stampo confessionale alimentata anche dal malcontento della minoranza sunnita nei confronti del governo. Negli ultimi mesi i sunniti sono scesi in strada a decine di migliaia, per denunciare le discriminazioni che subiscono, a cominciare dalla legge antiterrorismo. Il governo in alcune occasioni ha reagito con pugno di ferro fecendo morti e feriti tra i dimostranti.
Maliki è un pessimo primo ministro ma a sua parziale giustificazione c’è il fatto deve affrontare gravi problemi interni del Paese e un quadro regionale di gravissima tensione che, peraltro, gli impone di manovrare nello scontro a distanza (per ora) tra i suoi sponsor principali: l’Iran sciita e gli Stati Uniti. Senza dimenticare i rapporti tesi tra il governo e la comunità curda che di fatto controlla il nord del Paese e una parte consistente delle sue riserve petrolifere. Negli ultimi mesi inoltre molti sciiti e sunniti iracheni sono andati a combattere, su barricate opposte, in Siria mettendo ancora di più in difficoltà un Paese che è in maggioranza vicino a Bashar Assad ma che allo stesso tempo vuole mantenersi fuori dai giochi. Di recente l’inviato delle Nazioni unite in Iraq, Gyorgy Busztin, ha esortato Baghdad ad agire per impedire che il Paese sprofondi nella guerra civile.


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