by Sergio Segio | 28 Agosto 2013 6:44
NEW YORK — Lo spettro di un default tecnico degli Stati Uniti ricomincia ad agitare i mercati finanziari internazionali e il mondo politico washingtoniano. A metà ottobre, secondo il grido d’allarme lanciato da Jack Lew, successore di Tim Geithner alla guida del Tesoro, sarà raggiunto il limite massimo del debito pubblico consentito dalla legge (16mila e 700 miliardi di dollari). E senza un innalzamento di questo tetto da parte del Congresso, il governo non sarà più in grado di pagare né i conti né gli interessi sui titoli di stato.
«L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è di una ferita auto-inflitta o di un’altra crisi all’ultimo minuto», ha dichiarato il ministro Lew con un chiaro riferimento alle vicende dell’estate 2011. Due anni fa, infatti, di fronte a una emergenza analoga, la maggioranza repubblicana alla camera cercò di usare il tetto del debito come un’arma per ridurre le spese pubbliche senza aumentare le tasse. La manovra politica fallì. In compenso si registrarono pesanti conseguenze finanziarie oltre a una riduzione del rating americano.
Lo stesso rischio si ripropone ora. Le due parti si stanno lanciando attacchi durissimi. «Tutta la vicenda conferma che Barack Obama non è riuscito ad affrontare seriamente il problema del debito e del deficit», ha tuonato il portavoce di John Boehner, capogruppo repubblicano alla camera. «La Casa Bianca — ha risposto Lew — non intende negoziare sul tetto dell’indebitamento perché tutte le spese sono state autorizzate dal Congresso e sono quindi i parlamentari a dover trovare il modo di mantenere gli impegni presi».
Oltre alla questione del tetto, il braccio di ferro tra repubblicani e democratici riguarda anche il riequilibrio dei conti pubblici. Nei mesi scorsi l’impasse ha portato al “sequester”, cioè al taglio automatico di molte spese pubbliche con effetti negativi sull’efficienza della macchina statale e sulla stessa ripresa economica. Ma le due parti sembrano ancora distanti: la destra spera di imporre una riduzione delle spese della riforma sanitaria voluta da Obama; i democratici insistono perché ogni misura di riequilibrio preveda anche un aumento delle tasse sui ceti più abbienti.
Due notizie che, in altri momenti, avrebbero rallegrato grandi investitori e piccoli risparmiatori, non sono state in grado, ieri, di frenare il calo degli indici. La prima è l’aumento del 12,1 per cento dei prezzi immobiliari registrato negli Stati Uniti a giugno rispetto allo stesso mese del 2012: una conferma della indiscutibile ripresa del mattone, anche se le prospettive di un rialzo dei tassi di interesse, legate alla fine delle iniezioni di liquidità da parte della Federal Reserve, sembra già rallentare la lievitazione dei valori delle case.
La seconda notizia riguarda proprio il vertice della Fed. L’attuale presidente Ben Bernanke dovrebbe dimettersi alla fine dell’anno. Finora sembravano
esserci due candidati per la poltrona: l’attuale vicepresidente Janet Yellen e l’ex ministro del Tesoro Larry Summers. Secondo indiscrezioni raccolte tra i collaboratori di Obama dalla rete economica “Cnbc”, il presidente avrebbe scelto quest’ultimo e l’annuncio verrebbe dato nel giro di poche settimane. E’ sicuramente una ipotesi che piace a Wall Street con cui Summers, che è stato anche rettore dell’Università di Harvard, ha sempre avuto eccellenti rapporti.
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