Strage chimica, tutte le prove che inchiodano il regime

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WASHINGTON — L’istruttoria sulle armi chimiche è iniziata molto prima dell’attacco del 21 agosto. Bisogna, infatti, risalire alla fine dell’inverno. All’epoca un medico, accompagnato da alcuni attivisti, si è infilato in un cimitero di Damasco, ha riesumato il corpo di una persona sospettata di essere stata gasata a Darya, lo ha «aperto» e prelevato un «pezzetto» del polmone. Un reperto conservato in una ghiacciaia e fatto arrivare in Gran Bretagna per dei test. Operazione ripetuta dagli oppositori che, con l’aiuto saudita, hanno trafugato un cadavere. I successivi esami avrebbero confermato l’esposizione al sarin, un gas nervino letale. Ma questi «campioni» non hanno mai soddisfatto gli Usa, timorosi di essere manipolati dai ribelli. La caccia è proseguita. Quando si è verificato l’episodio del 21 a Ghouta, gli americani hanno messo insieme delle «prove» poi offerte alla Casa Bianca. Il rapporto redatto dalla direzione della National Intelligence (Dni), nell’analisi di Washington, è sufficiente per incriminare il clan Assad. In quanto ricostruisce come i gas sono stati stoccati, assemblati e poi impiegati.
Le intercettazioni
Il Pentagono e la Cia hanno captato conversazioni allarmate — «voci nel panico» – tra un reparto schierato non lontano da Ghouta e il comando che controlla l’arsenale chimico. Un ufficiale riportava un alto numero di vittime e lo collegava all’uso dei gas. Quali sono le unità coinvolte? In cima alla lista i soldati che obbediscono agli ordini di Maher Assad, il fratello del presidente. La 155esima Brigata della IV Divisione avrebbe lanciato dei razzi caricati con una miscela tossica. Compaiono poi i nomi dei generali Tahir Khalil e Ghassan Abbas. Sarebbe stato quest’ultimo ad aprire il fuoco alle 2.30 della notte. Altre informazioni sono state intercettate dagli israeliani dell’Unità 8200, specializzata nello spionaggio elettronico. La base sul monte Avital è come un grande orecchio puntato sulla Siria: è qui che i militari avrebbero raccolto il traffico radio legato al ricorso alle armi proibite. Dialoghi registrati e poi portati d’urgenza negli Usa da un paio di funzionari israeliani.
I satelliti
Velivoli spia e satelliti — secondo il Pentagono — hanno «visto» movimenti sospetti da parte dei lealisti nelle ore precedenti al massacro. Un’indicazione che i soldati hanno portato fuori dai depositi l’armamento chimico impiegato qualche ora dopo sui sobborghi di Damasco. Poi vi sarebbero i video emersi dopo la strage, così come le foto che documentano i feriti e i morti. Per gli esperti, però, questo tipo di indizi ha bisogno di ulteriori conferme e da solo non basta. Probabile che gli Usa stiano ancora lavorando sul dossier. Forse è solo una coincidenza ma ieri è stato segnalato l’arrivo in Europa — sul sito The Aviationist di David Cenciotti — di uno «sniffer», un aereo WC 135, in grado di fiutare particelle nucleari e forse chimiche. E’ legato alla crisi siriana?
I reperti
E’ un lavoro alla Csi. Gli americani sarebbero in possesso dei «tessuti umani» prelevati dalle tante vittime. Capelli, pelle e altre parti possono «parlare» rivelando se una persona è stata uccisa da una sostanza tossica. Reperti che possono essere recuperati nel terreno, in un locale, nella saliva, nel sangue e soprattutto tra le schegge dei razzi. Sperando che i successivi bombardamenti non abbiano alterato la scena del crimine. Un aiuto potrebbe arrivare dagli ispettori dell’Onu, sempre che possano proseguire la missione. Ieri l’inviato speciale Brahimi ha rivelato che i tecnici hanno rinvenuto sostanze tossiche che potrebbero aver ucciso «fino a 1.000 persone».
Il movente
Perché Damasco ha usato i gas? Le risposte sono varie e non del tutto chiare. La rete televisiva Nbc sostiene che il regime avrebbe reagito in modo brutale ad un fallito attentato per eliminare Bashar Assad. Gli israeliani non escludono l’errore nella gestione dell’attacco: volevano impiegare le armi chimiche «in piccole dosi», come hanno fatto dozzine di volte durante l’anno, ma l’operazione è sfuggita al controllo. Altra teoria: il regime era convinto di poterlo farlo senza pagare un prezzo troppo alto. Memori della lezione irachena — le armi che non c’erano — tanti si chiedono se il rapporto sia davvero «la pistola fumante», un atto di accusa sufficiente a giustificare un raid. Non hanno questi dubbi gli oppositori del regime. Per loro contano donne e bambini senza vita avvolti nel sudario bianco.
Guido Olimpio


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