Rohani, il moderato che infiamma Teheran “Basta sanzioni, cammineremo atesta alta”

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TEHERAN — Turbanti neri e turbanti bianchi, barbe grigie, divise khaki dell’esercito e verdi scure dei Pasdaran, tutto l’establishment della Repubblica islamica affollava l’Hosseinieh Imam Khomeini mentre l’ayatollah Khamenei conferiva l’investitura di presidente a Hassan Rohani, e gli iraniani e il mondo intero si chiedevano se questo moderato, che era stato eletto un po’ a sorpresa il 14 giugno, sarà capace di placare le ondate di sfiducia, di incomprensione, di ostilità che si sono abbattute sui rapporti tra l’Iran e l’Occidente nell’ultimo decennio. Khamenei, il rahbar cui spetta l’ultima parola su tutte le questioni importanti dello Stato (incluso i ministri che Rohani proporrà per il suo governo), era al centro del palco, unico seduto su una poltrona mentre dietro di lui il neoeletto presidente sedeva su un tappeto mentre alla destra del Leader sedeva l’ormai ex presidente Ahmadinejad. Notata l’assenza tra i notabili dell’ex presidente riformatore Khatami, che prima delle elezioni aveva sostenuto Rohani e invitato i riformatori, che negli ultimi quattro anni erano stati spazzati via dalla scena politica, a votare per lui. I falchi aveva chiesto che non fosse invitato.
Il plebiscito per Rohani, quando sembrava ormai che gli iraniani avessero perso la speranza di cambiare qualcosa col loro voto, era stato un segnale mandato al mondo che gli iraniani vogliono migliorare i rapporti con la comunità internazionale per vivere una vita meno isolata e non sentirsi abitanti di seconda categoria del pianeta. La partecipazione alle elezioni è stata quella “epica politica” di cui aveva parlato il rahbar, ha detto Rohani: «Grazie alla vostra partecipazione al voto avete dimostrato la maturità del sistema. Tutti hanno capito la situazione e operato per riportare il paese a testa alta nel mondo. Le elezioni sono state un segno dal regime ma della volontà del popolo di chiedere rispetto». Rohani ha insistito sulla «totale trasparenza »: «La sincerità corregge tutto e la menzogna rovina tutto » ha detto citando una frase dell’imam Ali, il primo imam degli sciiti. Moderazione, che è il suo motto, non è né capitolazione né conflitto ma una costruttiva e efficace reciprocità nei rapporti col mondo. Quindi il messaggio alla nazione: «Il primo impegno è quello di lavorare per togliere le sanzioni internazionali. Il mio governo compirà passi fondamentali per elevare la posizione dell’Iran in base ai propri interessi nazionali e per togliere le sanzioni che opprimono».
Rohani ha molte carte in regola perché l’Occidente gli creda. Era stato lui, come negoziatore del dossier nucleare sotto Khatami, ad accettare nel 2003 di sospendere l’arricchimento dell’uranio e sottoscrivere il protocollo straordinario che permetteva agli ispettore dell’Onu di visitare i siti atomici senza preavviso. Ed era stato ancora lui due anni dopo, che aveva cercato di salvare dal fallimento i colloqui dell’EU 3: l’Iran. La soluzione trovata dall’inviato di Rohani, Moussavian, insieme al braccio destro di Fischer Michael Schaefer in una pizzeria di Berlino stabiliva che l’Iran avrebbe potuto arricchire l’uranio con poche centrifughe solo per scopi di ricerca, e procurarsi il combustibile d’uranio sul mercato. Era un compromesso in cui nessun ottiene quello che vorrebbe ma tutti riescono a salvaguardare il proprio interesse. Per Fischer era la garanzia che l’Iran non avrebbe costruito la bomba; per Rohani il mantenimento di un diritto, quello di arricchire l’uranio, fissato dal Trattato di Non Proliferazione e della possibilità di usare l’energia atomica per usi civili. Ma il compromesso non ebbe esito perché rompeva un tabù: il no degli Stati Uniti a permettere all’Iran di arricchire l’uranio — che qui è sentito come una singolarizzazione umiliante che ferisce la dignità nazionale.
Tutti coloro che lo conoscono parlano di Rohani come un uomo di grande intelligenza, colto, e affidabile, che non abbandona mai (come Khatami) le sue vesti di mullah, ieri particolarmente eleganti con un aba finissimo bordato di raso sopra una tunica marrone scuro.
Visibilmente soddisfatto che le elezioni del 14 giugno abbiano messo una pietra sopra ai guasti provocati da quelle del 2009, il leader ha benedetto Rohani con un bacio sulla fronte (diversamente da Ahmadinejad quattro anni fa Rohani però non gli ha baciato la mano). La Repubblica islamica, anche se all’esterno non appare, ha un sistema di checks and balances interno che quasi sempre funziona e le ha permesso di restare stabile per trentaquattro anni. Rohani è stato eletto perché gli iraniani volevano un riformatore e il regime ne aveva bisogno. La paura di finire come la Siria è stata per entrambi determinante.


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