Richiesta di grazia, un rebus per il Colle

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ROMA — E adesso, com’era scontato aspettarsi, ricomincia anche il tormentone della grazia. A evocarla per primi, stavolta, non i giornali di osservanza berlusconiana, ma i militanti del fantomatico «Esercito di Silvio». Che annunciano un presidio permanente davanti al Quirinale, a partire da lunedì, dal quale far partire una petizione per chiedere a Giorgio Napolitano «la concessione immediata» di un provvedimento di clemenza per il leader del centrodestra. Una raccolta di firme destinata a dilagare in Italia, si spiega con teatrale metafora guerresca, attraverso gli oltre 500 «reggimenti attivi» che i fan del Cavaliere si dicono sicuri di poter dispiegare. Se davvero si concretizzerà, per il presidente della Repubblica questa rischia di essere un’iniziativa quantomeno imbarazzante.
Basta riandare a quel che disse il 12 luglio scorso, quando con parole aspre fermò la rincorsa di retroscena su un presunto «piano di salvataggio» per Berlusconi, che sarebbe stato già pronto perfino nei dettagli. «Queste speculazioni su provvedimenti di competenza del capo dello Stato in un futuro indeterminato sono un segno di analfabetismo e di sguaiatezza istituzionale», tagliò corto. Anzi, aveva aggiunto, «danno il senso di un’assoluta irresponsabilità politica che può soltanto avvelenare il clima della vita pubblica». Una reazione infastidita, per sottrarre il Colle a una pretesa allora assolutamente fuori luogo (non era ancora cominciato il processo Mediaset in Cassazione) e che appare ancora adesso difficilmente praticabile, per diversi motivi. Anzitutto, una grazia che intervenisse subito dopo una condanna definitiva si configurerebbe di fatto come un quarto grado di giudizio, tale da smentire e potenzialmente delegittimare la stessa Corte. E poi, per concedere un provvedimento di clemenza, servono com’è noto certi requisiti minimi (ad esempio un’istruttoria del ministro della Giustizia, almeno un inizio di espiazione della pena, un parere favorevole degli organi penitenziari e dei servizi sociali, ecc.) che in questo caso mancherebbero. Senza contare che sul Cavaliere pendono comunque alcuni altri processi destinati ad approdare a sentenza definitiva nei prossimi due-tre anni.
Il puro e semplice parlarne, dunque, sembra una pressione sbagliata e indebita, al Quirinale. Perché alimenta equivoci, ambiguità e un improprio carico di aspettative. Il discorso potrebbe invece essere diverso, forse, per altre forme di salvacondotto più o meno efficaci (un’amnistia o un indulto sono esclusiva competenza del Parlamento) su cui in queste ore sta almanaccando il centrodestra. E chissà a che cosa pensavano (anche loro davvero alla grazia tout court?) i capigruppo del Pdl Schifani e Brunetta, quando ieri sera hanno comunicato l’intenzione di salire «a breve» al Quirinale «per chiedere al presidente che sia restituita la libertà» all’ex premier e di «usare i poteri costituzionali per difendere la dialettica democratica alterata da questa sentenza».
Segnali di un partito sotto choc e che ancora deve elaborare il lutto della condanna del capo. Indizi che preoccupano molto Napolitano. Tanto da indurlo, a tarda sera, a far diramare una nota chiarificatrice: «È la legge a stabilire quali sono i soggetti titolati a presentare la domanda di grazia». Il senso della puntualizzazione è che questa strada, così come la si vorrebbe imboccare, è strettissima e anzi impraticabile perché, come recita il Codice di procedura penale, la domanda dev’essere sottoscritta «dal condannato o da un suo prossimo congiunto o dal convivente o dal tutore o dal curatore ovvero da un avvocato o procuratore legale». Non certo da esponenti politici, insomma.
Ma tant’è. A quella drammatizzazione si accompagna la disponibilità a «dimissioni immediate» che tutti i parlamentari pidiellini — ministri compresi — hanno offerto a Berlusconi, non solo come gesto di solidarietà quanto come uno strumento di minaccia, mentre il leader incitava tutti a prepararci per «elezioni presto». Il capo dello Stato, che durante il weekend rientrerà a Roma da un breve soggiorno in Alto Adige, affronterà la questione attraverso una serie di incontri e contatti politici. E se il centrodestra volesse consegnargli le chiavi della legislatura, affidandogli la sorte di Berlusconi, il Pd apparirebbe in mezzo al guado, incertissimo se staccare la spina al governo.
Marzio Breda


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