Regime, Ribelli, Infiltrati l’Atlante del Conflitto

by Sergio Segio | 27 Agosto 2013 6:40

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Il regime
Le battaglie sono combattute con armi moderne, rimasugli di tanti arsenali e tattiche che a volte ricordano il Medio Evo. I lealisti arroccati nei loro «castelli», in prossimità di città e snodi stradali strategici, chiamati a resistere ad assedi interminabili da parte dei ribelli. Un esempio la conquista della base di Mengh: caduta dopo essere rimasta circondata per circa 9 mesi. L’esercito governativo può condurre solo una grande operazione alla volta ed essendo il territorio ampio ha problemi logistici. Nei casi più complicati si affida alla Guardia Repubblicana e alla IV Divisione, guidata da Maher Assad, con rinforzi rappresentati dai miliziani Hezbollah e pasdaran iraniani. Dopo aver perso uomini (attacchi, diserzioni) e molti mezzi, il regime ha riorganizzato le proprie forze. L’obiettivo principale è quello di controllare i principali centri abitati e l’arteria strategica che da sud porta a nord. Per farlo conta su puntate delle unità scelte e su «postazioni di fuoco» che si sostengono una con l’altra grazie al tiro dell’artiglieria, ai bombardamenti con i missili Scud, all’impiego dell’aviazione (elicotteri, caccia) e, probabilmente, ai gas. Assad non è in grado di riconquistare l’intero territorio, però tiene e manovra. Nelle zone nemiche usa la tattica della terra bruciata, per svuotarle o provocare dissensi tra la popolazione. Cresciuto anche il ricorso alle milizie. Citiamo i palestinesi di Ahmed Jibril a Damasco, la «Resistenza» di Mihrac Ural (dicono sia stato ucciso di recente), responsabile del massacro di Banya e con connessioni sul territorio turco, i Comitati popolari.
I ribelli
Alcuni analisti attribuiscono ai ribelli il controllo sul 60% della Siria, una presenza però indebolita dalle divisioni, ampliate anche dagli attori esterni che vogliono imporre scelte e obiettivi. Lo prova la nomina di Ahmad Jarba alla guida del Consiglio nazionale siriano: era il candidato dei sauditi e ha battuto quello sostenuto dai qatarioti. I due regni sono rivali e pompano denaro/armi alle rispettive fazioni. La «resistenza» è formata da una componente nazionalista, una islamo-pragmatica e da quella qaedista, incarnata da Al Nusra. Proprio gli estremisti (tra i 7-10 mila) si sono mostrati i più intraprendenti. Sono abili sul piano militare e spesso ricorrono agli uomini-bomba a bordo di enormi veicoli esplosivi. Azioni suicide che piegano la difesa esterna di una postazione aprendo un varco per i mujahedin. Altro dato: disciplinati, cercano di conquistare cuori e menti dei civili preoccupandosi delle esigenze primarie (acqua, pane, servizi basilari). Strategia rallentata da eccidi, esecuzioni e caccia alle minoranze sospettate di essere vicine al potere. A Est «lavorano» quelli dell’Isis, i qaedisti venuti dall’Iraq. Molto interessante l’azione degli insorti nella regione sud. Rispondono agli ordini del Comando Supremo, hanno l’appoggio della Giordania e — si dice — dei servizi occidentali. L’unità simbolo è la Brigata Liwa Al Islam. Nelle ultime settimane hanno fatto progressi bilanciando rovesci in altri settori. Per prevalere avrebbero bisogno di un vertice unificato, di un’infrastruttura che porti rifornimenti militari consistenti, di un training vero e di una visione politica comune. Quattro condizioni lontane, se non impossibili.
I curdi
Come sempre, una storia separata. Il movimento Pyd difende la propria autonomia ed è un tenace avversario di chi la mette in discussione. Duri gli scontri con Al Nusra ma anche con altri reparti ribelli. Il Pyd è aiutato dall’organizzazione gemella del Pkk (curdi di Turchia) e dai fratelli iracheni. Per questo ha tenuto botta, accrescendo i sospetti della Turchia. Anche se non sono mancate indiscrezioni su una possibile collaborazione.
Gli esterni
Sui due fronti — come all’epoca della guerra di Spagna — agiscono molti volontari. Tra i ribelli spiccano i jihadisti provenienti da Nord Africa, Golfo, Cecenia e Europa. Al fianco di Assad ci sono invece i miliziani sciiti libanesi Hezbollah, poi quelli provenienti dall’Iraq (almeno quattro le organizzazioni) e i pasdaran iraniani. Diverse migliaia di uomini bene addestrati che ufficialmente si battono in difesa della propria fede (sunnita, sciita) ma che in realtà partecipano ad un confronto strategico regionale dove le posizioni non sono sempre nette. I sauditi agiscono contro l’Iran e diffidano del Qatar. Teheran è coinvolta nelle operazioni per salvare l’amico, lo è meno Bagdad anche se ha fatto la sua parte favorendo i traffici pro Siria. La Turchia vuol far cadere Assad, cerca di avere delle carte in mano appoggiando alcune delle fazioni ribelli, è punto chiave nel transito di armi. Gioco pericoloso perché questa guerra non conosce confini.
Guido Olimpio

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