Quel riferimento a Forlani l’ex premier che fu condannato
ROMA — Cosa chiederà di fare come misura alternativa? «Non so. Deciderà il magistrato». Se le imporrà di fare l’assistente in un ricovero per vecchi? «Ci andrò. “Right or wrong, is my country”. Giusto o sbagliato, è il mio Paese. Non mi stancherò mai di dire che quanto sta avvenendo sul fronte politico-giudiziario contrasta con le più elementari esigenze di verità. Ma berrò la cicuta fino in fondo». Il 6 luglio 1998, Arnaldo Forlani rispondeva così sulle colonne del Corriere a Gian Antonio Stella, dopo che la sua sentenza era diventata definitiva.
È quello di Forlani il precedente richiamato nella nota del Quirinale di ieri (dove si parla della preoccupazione «per la condanna a una pena detentiva di personalità che ha guidato il governo, fatto peraltro già accaduto in un non lontano passato»). Un uomo che fu uno dei politici più potenti della Prima Repubblica, da segretario della Dc a presidente del Consiglio, e mancò di salire al Quirinale divenendo presidente della Repubblica per soli 29 voti.
Alla vigilia del verdetto del processo Enimont che avrebbe dovuto portarlo in carcere insieme all’ex segretario amministrativo della Dc, Citaristi, all’ex ministro Pomicino, a Carlo Sama e a Luigi Bisignani, per finanziamento illecito ai partiti a causa della cosiddetta maxitangente Enimont, destra e sinistra approvarono in gran fretta la legge Simeone-Saraceni (uno di An, uno del Pds) che risparmiava il carcere a chiunque avesse dovuto scontare meno di 3 anni di reclusione: avrebbe potuto in alternativa ottenere l’«affidamento in prova al servizio sociale». E così fu. Forlani, il più celebre dei condannati di Mani Pulite, per usare la sua stessa metafora, fece come Socrate e bevve il calice con la cicuta.
Nel marzo del 2002, finirono i due anni e quattro mesi di «affidamento» assegnatogli dal Tribunale. Tutti i giorni sulla Micra verde varcò il portone del Vicariato, diretto al suo ufficio presso la sede della Caritas diocesana: un locale spartano con scrivania in formica, armadi metallici e classificatori colorati, in una mansarda due piani sopra l’ufficio dell’allora Vicario del Papa, cardinale Ruini. «Bettino — commentò lui — andò ad Hammamet. Ognuno ha il suo carattere. Non tutti hanno la vocazione socratica a bere la cicuta anche sapendo di essere stati condannati ingiustamente».
In che cosa è consistita la pena di Forlani? L’ex premier collaborò senza firmare a Roma Caritas , bimestrale in bianco e nero. Sulla copertina, nel febbraio 2002, una mano tesa oltre le sbarre. E il titolo: «Ero in carcere e mi avete visitato». E poi ricerche, giri per parrocchie. «Tutte cose — assicurò — che nella mia visione della vita non sono meno utili di quello che potevo fare guidando la Democrazia cristiana o collaborando ai governi». Disse anche apertamente che aveva potuto accettare tutto questo, in forza della sua fede, del suo essere cattolico.
Ma dopo dieci anni di austero silenzio, attraversati con grande dignità, non perse la voglia di gridare ancora una volta la sua innocenza. «La mia storia mi ricorda quella del processo a Pinocchio. Quando Pinocchio va in tribunale, alla fine del processo il giudice ordina ai gendarmi: “Questo ragazzo è innocente: arrestatelo!”. Ecco, non so se mi spiego».
Forlani, Berlusconi. Due ex presidenti del Consiglio. Dalla Prima alla Seconda Repubblica.
M. Antonietta Calabrò
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