Quei corpi oltre la morsa del potere
Il corpo è una delle condizioni dell’esperienza. Crocevia di innumerevoli espressioni e relazioni, può dirsi e declinarsi in molti modi. Che tutto ciò abbia una qualche attinenza con il femminismo è piuttosto chiaro, sia storicamente che politicamente. Soprattutto quando il corpo non è solo mero possesso ma un prendere coscienza di essere quel corpo, quando conosce e vive la libertà. In tal senso, la sottrazione ad un ordine del discorso squisitamente patriarcale comporta una nuova forma di narrazione capace di tradursi in progetto politico. Di ciò, e di molto altro, avverte il volume Femen. La nuova rivoluzione femminista (Mimesis, pp. 175, euro 16), curato da Maria Grazia Turri e composto da saggi di Elisabetta Ruspini, Bruna Bianchi, Stefano Ciccone, Manola Del Greco, Manuela Rossi, Federica Turco.
Nella lunga premessa al libro, la curatrice pone in rilievo la questione del corpo che in effetti è sottesa e dà avvio all’intera collettanea. E se appunto le Femen sono da considerarsi come quel movimento capace di trasformare il proprio corpo in manifesto, la loro protesta offre una inedita semantica dell’agire. Secondo Turri, la spettacolarizzazione diventa scelta precisa e una delle componenti per osservare la rappresentazione pubblica di una nudità che si fa scrittura politica. Certo che questo non può essere l’unico accesso alla «novità» che aleggia nel titolo del libro (come in quello subito precedente, sempre curato da Turri, intitolato appunto Manifesto per un nuovo femminismo, Mimesis, pp. 238, euro 18); non c’è alcuna pretesa di rifondazione, appare piuttosto l’esigenza di osservare la contemporaneità nell’evolversi di nuove pratiche, nuovi linguaggi, collocandosi in una posizione intergenerazionale e interculturale, nella costruzione di una mappa sociale sessuata (Rossi).
Il movimento di quei femminismi, che non si danno mai una volta per tutte, vengono prevalentemente tratteggiati con il metodo della ricerca sociale e della comparazione empirica. Al contempo, si assiste al controcanto essenziale della riflessione sui saperi femminili: in primis, quella di potersi confrontare nell’entrata in scena di significati e metodi che incarnano il tessuto di tutte e tutti. Se le «Femen» sono armate del proprio stesso corpo, la narrazione che ne consegue sembra essere l’incursione di una sineddoche completamente pervasiva. Nella loro lotta infatti, il nucleo centrale diviene parte per il tutto – come mostra la forma di arcipelago avviata dalle attiviste ucraine nel 2008 e che ora trova sparse anche in altri paesi centinaia di militanti. In questo senso a farsi avanti è un progetto più grande, utopico, che si sa far attraversare dal conflitto, inteso come attrito e apertura tra sé e il mondo. Certo non se ne può tacere la parte immediatamente visibile, passaggio dalla sovraesposizione alla riscoperta di una materialità socio-politica che si scontra e incontra nella storia. Solo apparentemente si gioca di paradosso, di fatto invece il modello patriarcale che colonizza i corpi rendendoli cosa tra le cose produce, come rileva Turri, un cortocircuito nei linguaggi contemporanei, di rottura e diserzione.
Fra interrogazione e proposte politiche si muove l’intera composizione dei saggi, agili e utili, nelle tappe salienti del movimento delle donne degli anni Settanta. Il tratto descrittivo e di ricerca sociale tiene fermo l’impianto generale di Femen che indaga accessi interdisciplinari e inedite prossemiche. Sono in fondo degli spaccati di pratiche e analisi sul tema del corpo e di ciò che gli è limitrofo; per esempio, la relazione complicata nella divisione sessuale del lavoro insieme alla confusione tra produzione e riproduzione. Anch’esse emergono in qualche passaggio come punto di indagine già avviata insieme alle politiche femministe (Bianchi). E se la morsa tra potere e patriarcato è stata già scassinata, è pur vero che ulteriori spostamenti di efficacia politica e relazionale si intravvedono oggi anche riguardo l’esperienza maschile e il desiderio di differire, offrendo una domanda di libertà (Ciccone).
Ulteriori osservazioni sul presente – in particolare sulle giovani generazioni – riguardano il rapporto fra attivismo e teoria critica nell’utilizzo del web, come mostra lo spazio digitale di Yalla Italia che ridisegna uno spazio politico tra migrazione e seconde generazioni (Del Greco). In fondo però, come sottolinea Turco, «sono le soggettività che, fatte narrazione, agiscono su livello simbolico per dare senso alla realtà. Nel momento in cui ammettiamo che il “soggetto” è un’entità discorsiva, evidentemente ne postuliamo le necessità comunicative». Nell’invenzione di nuove pratiche e nella consapevolezza dei numerosi modelli di ricerca adottati, si conclude il libro ma non il desiderio che ne segue l’architettura: pensare, discutere e sperimentare, senza posa e ancora, la scena pubblica della scrittura e dell’azione politica, tenendo presente che la rivendicazione senza libertà risulta un teatro politicamente piatto. Come a dire che i corpi, anche quelli che senza mediazioni sfidano l’idiozia del potere, devono saper stare nel conflitto, con competenza.
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