Precari assunti, sussidi, Imu l’Italia balla sul baratro del 3%
CON due aste attese oggi per piazzare sul mercato fino a sei miliardi di Btp, Fabrizio Saccomanni certe soglie non le perde mai di vista. Il ministro dell’Economia sa bene che non può. Sono mesi, da prima che il suo governo s’insediasse, che il bilancio dello Stato viaggia ai limiti della linea di galleggiamento concordata con Bruxelles. La minima disattenzione potrebbe portarlo sotto e, benché non sia tipo da distrarsi, Saccomanni da qui a fine anno deve comunque fare i conti con una serie di interrogativi tutt’altro che facili.
Che il governo abbia preso tempo per abrogare la tassa sulla prima casa – malgrado l’«impegno politico» – si spiega certamente con questa rete di dubbi. Il vincolo è noto e ieri il premier Enrico Letta l’ha confermato: dopo aver riportato il deficit entro il 3% del Pil nel 2012, l’Italia deve restare a tutti i costi fuori dalla procedura europea di deficit eccessivo. Tornare in violazione, con un disavanzo sopra il 3%, sarebbe una sconfitta per il Paese e lo priverebbe di preziosi investimenti. Il problema è come riuscirci: ciò che si sa dell’andamento di questi mesi rende l’obiettivo tutt’altro che scontato, se non ci sarà attenzione a ogni euro in entrata e uscita, e magari anche un intervento correttivo degli andamenti.
Non esiste un quadro attuale dei conti. L’ultimo aggiornamento interno fatto al Tesoro è di luglio e segnalava già allora il rischio, a meno di contromisure, di un lieve superamento dei limiti. Ma la sfida per Saccomanni era partita già in giugno, quando fu
chiaro che l’andamento dell’economia sarebbe stato peggiore di quanto previsto dal Tesoro. Il Documento di economia e finanza del 10 aprile prevedeva un deficit di bilancio al 2,9% sulla base di un calo del Pil dell’1,3%. È qui che sorge il primo dilemma, perché la contrazione del prodotto sarà peggiore, probabilmente intorno all’1,7% o 1,8%. Per effetto delle maggiori spese e delle minori entrate dello Stato dovute alla recessione, il deficit dovrebbe dunque aumentare di circa tre o quattro
miliardi: almeno lo 0,2% del Pil in più; se così fosse, sarebbe già sopra il 3% a causa del calo più rapido del Pil.
L’impatto potrebbe non essere gravissimo, perché il Tesoro e la Banca d’Italia segnalano da mesi che il flusso delle entrate fiscali è buono. Ma, senza dati resi pubblici da parte della Ragioneria dello Stato, non è chiaro cosa ciò significhi: probabile che il gettito non sia maggiore del previsto, solo discreto in rapporto al peso della recessione.
Si aggiungono poi spese forse inevitabili, eppure non messe in conto quando in aprile il Tesoro aveva previsto un disavanzo già quasi al 3%. C’è la riconferma e poi l’assunzione di decine di migliaia di precari della Pubblica amministrazione. Ci sono 500 milioni per continuare a versare l’assegno di cassa integrazione ai dipendenti di migliaia di piccole e medie imprese in crisi. Ci sono altre centinaia di milioni – pochi sembrano sapere esattamente quante – per le missioni militari
italiane all’estero. E ieri è arrivato anche un intervento per altri 6.500 esodati, i lavoratori che hanno lasciato il posto ma non hanno ancora diritto alla pensione a causa della riforma Fornero.
Difficile misurare l’effetto di queste spese, ma senz’altro spingeranno il deficit ancora al rialzo. Si capisce dunque che il Tesoro abbia cercato di tutelarsi con piccoli aumenti fiscali qua e là, per esempio sulle sigarette elettroniche: circa 500 milioni in tutto. Qualcosa sarà poi forse possibile
risparmiare anche sugli interessi sul debito pubblico, ma non molto perché i rendimenti dei titoli di Stato non sono mai rimasti bassi a lungo (anche oggi, i Btp decennali pagano il 4,4%).
Ciò lascia il governo in equilibrio precario sulla linea del 3% di fronte agli impegni più grossi: evitare l’aumento dal primo luglio scorso dell’aliquota Iva dal 21% al 22% e togliere la tassa sulla prima casa. Per ora il ritocco del-l’Iva è stato solo “congelato”: le mancate entrate che erano già in bilancio per i mesi estivi sono state compensate con un aumento, a volte oltre il 100%, degli acconti Irpef (imposta sui redditi delle persone) e Ires (delle imprese). Questa soluzione del Tesoro ha tamponato il problema sul 2013 ma lo ha spostato all’anno prossimo, perché anticipa a subito tasse messe in conto per il 2014. In sostanza, un ammanco di entrate di quest’anno è stato coperto anticipando un flusso di gettito che avrebbe dovuto coprire altre spese il prossimo.
Simile l’effetto dell’eliminazione della prima rata Imu.
Parte della compensazione viene dai pagamenti Iva sui dieci miliardi in più di arretrati alle imprese che il governo pagherà verso fine anno. In origine, quei versamenti erano previsti per il 2014: ciò significa che quei flussi di cassa verranno meno allora, quand’erano attesi. Insomma, il bilancio dell’anno prossimo parte con un doppio handicap. Quanto all’abolizione completa dell’Imu per 2013, se ne saprà di più solo in ottobre con la presentazione della Legge di Stabilità. Certo avrebbe un sapore amaro, se confermato, il forte sconto a fronte del pagamento immediato delle multe a carico dei gestori di
slot-machine.
Sarebbe di fatto una sanatoria nei confronti di uno dei settori dell’economia più infiltrati dalle mafie.
Possibile che il Tesoro non abbia molta scelta, in cerca com’è di coperture. Anche perché da quest’anno la Commissione europea e l’Eurogruppo hanno il potere di esprimere – a novembre – un parere preventivo e di fatto obbligare un Paese a cambiare la Finanziaria se non la ritengono in linea con gli impegni. È una regola nuova di zecca: molti, a Berlino e a Bruxelles, vorranno far vedere che funziona.
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