by Sergio Segio | 1 Agosto 2013 7:58
IN UNA villa di Mouans-Sartoux, dieci chilometri a nord di Cannes, finisce la corsa di Mukhtar Ablyazov e con lei una caccia all’uomo che vale sei miliardi di dollari.
UN BOTTINO che da solo potrebbe spiegare l’ostinazione e del coinvolgimento delle polizie di Italia, Austria, Spagna, Francia Nonché la solerzia del circuito Interpol in moto da mesi. Per non parlare del lavoro opaco di cacciatori di taglie privati come gli israeliani della “Gadot Information Services”. Quelli che una prima volta individuarono il rifugio di Casal Palocco lo scorso maggio e che, ora, sarebbero stati decisivi nell’arrivare al buen retiro del dissidente in Costa Azzurra.
Sei miliardi di dollari possono vincere molte resistenze, soprattutto se a reclamarli da Mukhtar Ablyazov è l’unica banca privata del Kazakhstan, la “Bta”, di cui è azionista il Fondo sovrano kazako Samruk-Kazyna. Soprattutto se quella banca che pure oggi ha un attivo di 20 miliardi di dollari è stata a un passo dall’insolvenza nel 2007, trascinando nella sua crisi banche creditrici di mezza Europa (tra cui anche le italiane Unicredit, Banca popolare di Vicenza, Monte Paschi, Mediobanca, Banca agricola mantovana, Bnl, Antonveneta, Banca Ubae). Soprattutto se quella banca e il fondo sovrano del Paese che la controlla, riescono a convincere una Corte di Giustizia inglese (è storia del novembre dello scorso anno) che a sottrarle i 6 miliardi di dollari è stato nel tempo l’uomo che della “Bta” è stato Presidente dal 2003 al 2009. Proprio Mukhtar Ablyazov.
Calunnie, hanno ripetuto nel tempo i legali di Ablyazov e le organizzazioni per la difesa dei diritti umani come Amnesty International
che nella vicenda giudiziaria di Mukhtar, nelle accuse di frode bancaria avanzate da paesi come Russia, Ucraina e Kazakhstan, non esattamente culle dello stato di diritto, hanno regolarmente individuato le stimmate di una persecuzione politica cominciata nel 2002 (quando Ablyazov fu arrestato e detenuto per circa un anno per ordine di Nazarbaev). E che hanno difeso quel trasferimento di fondi all’estero della banca – i sei miliardi di dollari – come il tentativo riuscito di mettere in salvo il tesoro necessario a finanziare le campagne di opposizione al regime di Astana.
Predone o martire, dunque. Nello spazio tra una verità di polizia e una politica, si è mossa una caccia all’uomo in cui l’Europa ha di fatto giocato in ordine sparso. E che, tra il 2010 e il maggio di quest’anno ha orientato le mosse di Ablyazov. In principio è l’Inghilterra, dove arriva nel 2009, e che, almeno fino all’autunno dello scorso anno, deve apparirgli un porto sicuro. Ablyazov vive per tre anni a Londra, in una magnifica casa nel nord della città, e qui gli viene concesso asilo politico insieme alla moglie, Alma Shalabayeva, a condizione, tuttavia, che non espatri. Anche se, come è stato poi accertato, la sua condizione di “rifugiato” non verrà mai annotata nei circuiti Interpol dove è segnalato da una “red flag”, un codice “rosso” di ricerca latitanti. È un fatto che, a un certo punto, l’Inghilterra diventa per Ablyazov luogo ostile, comunque da cui prendere rapidamente il largo. Viene infatti condannato a 22 mesi di detenzione per oltraggio alla Corte, raggiunto da sette distinte azioni legali mosse dalla sua ex banca, la Bta, presso le alte corti inglesi. Gli vengono sequestrati beni per oltre 1 miliardo di dollari.
La scelta dell’Italia, dove, dalla Lettonia, lo raggiungono la moglie con la figlia più piccola e il cognato, deve apparire ad Ablyazov come la più congrua. Per la vicinanza con Ginevra, dove il dissidente mantiene il centro dei suoi interessi, un importante studio legale lo assiste e, soprattutto vive il resto della
sua famiglia. Per l’anonimato di una periferia residenziale come Casal Palocco, dove la sua famiglia conduce una vita riparatissima, convinta che una coppia di passaporti diplomatici di copertura della Repubblica centroafricana (uno intestato a lui, l’altro alla moglie) siano sufficienti a tenere lontani i ficcanaso.
Almeno fino alla notte del 25 maggio scorso. L’ultima di Ablyazov a Roma. Documentata da una foto digitale scattata dalla moglie (la nostra polizia la troverà in una scheda di memoria sequestrata durante il blitz nella villa). La fuga è di qualche ora o giorno successivi. Forse perché messo sull’avviso dallo strano traffico di spioni privati che, dal 18 di maggio, fanno flanella intorno alla villa in attesa che la diplomazia kazaka ottenga dal Viminale quello che cerca. Da allora, apparentemente, di lui nessuna traccia. Forse un passaggio a Ginevra, dicono ora fonti di polizia italiana. Quindi, la Francia. Per ragioni che, verosimilmente, sarà più facile comprendere nei prossimi giorni. Soprattutto quando si capirà se Parigi intende combattere o meno una battaglia per l’estradizione con Astana.
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