Pechino mette sotto torchio le multinazionali occidentali

by Sergio Segio | 11 Agosto 2013 6:39

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PECHINO. Nei giorni scorsi 80 milioni di euro di sanzioni a sei case produttrici di latte in polvere Il governo cinese avvia una campagna a colpi di multe salatissime contro i principali brand diffusi nel Paese. Controlli a raffica su qualità dei prodotti, prezzi e monopoli. E i più pagano senza fiatare Il Financial Times ha scelto di titolare, tra il preoccupato e l’ironico: «Gli organi di controllo cinese cominciano a mostrare i denti». È il sintomo di un sentimento che in Cina si respira da tempo ed è intimamente connesso a un’ondata di nazionalismo che pervade il Paese.

Più in generale si tratta anche di una necessaria opera di «pulizia» all’interno di un’economia in cui in molti – sia stranieri sia cinesi – considerano leciti e possibili comportamenti proibiti in altre zone del mondo. Negli ultimi anni, infatti i garanti cinesi hanno provveduto a multare a raffica le grandi aziende che operano in Cina, con un occhio particolare nei confronti dei brand stranieri. Ce n’è per tutti i gusti: Danone, Walmart, Fonterra, Tetrapack, Astrazeneca e tanti altri colossi meno conosciuti al pubblico dei consumatori, ma capaci di muovere ingenti quantità di merci e denaro. La rinnovata scure degli organi di controllo cinesi sui prodotti, sui prezzi, sui monopoli, rinnova anche quella ricerca della qualità che i consumatori locali hanno vissuto sulla propria pelle in modo spesso drammatico. E il governo cerca di garantire questo sentimento di sicurezza colpendo soprattutto i brand stranieri per i quali in questo momento la Cina, in alcuni casi, costituisce uno sfogo di mercato necessario, quasi vitale, per la propria sopravvivenza mondiale. Non a caso, quasi tutte le aziende colpite hanno accettato o riconosciuto come legittime le multe, proprio per non scuotere quell’equilibrio sottile che in molti casi lega il proprio marchio alla prospettiva di acquisto, in quello che è ormai uno dei mercati più importanti del mondo.

Nei giorni scorsi c’è stato il record: 80 milioni di euro di multe a sei produttori di latte in polvere. Argomento scottante, perché nel 2008 il latte alla melamina scosse l’opinione pubblica cinese e pose ancora una volta il tema della sicurezza alimentare al primo posto dei problemi nazionali. All’epoca rimasero colpiti oltre trecentomila bambini e i responsabili vennero condannati e giustiziati a morte. I tempi sono cambiati, lo scandalo ha provocato la straordinaria crescita dei produttori di latte in polvere stranieri, che però hanno abusato della loro posizione. Le multe infatti costituiscono una novità e l’inseguimento, allo stesso tempo, della nuova agenda politica ed economica nazionale che mira a calmierare i prezzi, l’inflazione e raggiungere una sicurezza alimentare rassicurante. Per la prima volta la Commissione nazionale cinese per le riforme e lo sviluppo ha multato le aziende per il cosiddetto «pricing probe» ovvero l’alterazione dei prezzi e pratiche anti competitive che hanno finito per mettere in difficoltà i distributori. Nel mirino Mead Johnson Nutrition, Danone, il gigante neozelandese Fonterra – che recentemente si è scusata con la Cina per la produzione di latte in polvere contaminato – Abbott Laboratories, l’olandese FrieslandCampina e Biostime International Holdings quotata alla Borsa di Hong Kong.

Ad inizio luglio la Nestlè aveva subito annunciato di collaborare con gli organi di sicurezza cinese, una volta che si era scoperta sotto indagine; e non si tratta solo di controlli sul latte in polvere, perché secondo indiscrezioni sarebbero sotto indagine anche sessanta produttori di medicinali, messi in allerta dallo scandalo, che abbiamo raccontato anche su il manifesto , della Glaxo, finita al centro di una vicenda che ha rivelato corruzione a tutti i livelli medici, per favorire l’ingresso dei propri medicinali nel mercato cinese. Sempre nel settore farmaceutico è stata colpita anche la belga Ucb del gruppo BigPharma che il 22 luglio scorso aveva annunciato di essere sotto indagine per mano dell’Amministrazione statale dell’industria e del commercio cinese (SAIC): la Ucb come Astrazeneca e altre è finita nel mirino degli investigatori nell’ambito del caso Glaxo, definita «il padrino» di un network di aziende che ha utilizzato ogni metodo per vendere le proprie medicine producendo un giro d’affari illegale vicino ai 500 milioni di euro. E sempre la SAIC aveva posto a luglio sotto indagine e infine multato la Tetrapack, dopo una massiccia inchiesta sui produttori di packaging europei. Analogamente a quanto accaduto con il vino, su cui si sono aperti contenziosi, sembra che la guerra con l’Europa – lanciata dalle sanzioni inflitte contro i pannelli solari – non abbia fine.

Non la pensano così avvocati e specialisti dell’antitrust cinese che ritengono invece positiva l’opera di pulizia operata dalle autorità preposte. Li Changching, un avvocato cinese esperto in monopoli, ha spiegato al Financial Times , di non credere al fatto che «le aziende straniere siano particolarmente prese di mira dal governo in queste campagne. Altre aziende cinesi sono coinvolte e penso anzi che il governo sia più rigoroso con le società nazionali».

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