Pd da Napolitano, confronto sulla legge elettorale
ROMA — Mai e poi mai il presidente della Repubblica, se tutto dovesse precipitare, porterà il Paese al voto senza prima aver messo in sicurezza il sistema elettorale. Giorgio Napolitano lo ha detto con estrema chiarezza alla delegazione del Pd che ieri, guidata da Guglielmo Epifani, è andata da lui alla tenuta di Castelporziano. «Incontro di prassi», provano a derubricare l’incontro dall’ufficio stampa del Nazareno. In realtà la conversazione è stata diretta e intensa, è servita a fare il quadro della delicatissima situazione politica innescata dalla sentenza di condanna subìta da Berlusconi e a passare in rassegna i possibili scenari futuri.
Il clima? «Forte preoccupazione», condivisa sia dai vertici democratici che dal capo dello Stato, il quale guarda con crescente sconcerto alla continua rissa tra le forze di maggioranza. Napolitano sarebbe così in ansia per il guerreggiare quotidiano tra Pd e Pdl che, stando a una voce incontrollata, avrebbe fatto balenare il più cupo degli scenari: le sue dimissioni, nel caso in cui le forze politiche non riusciranno a garantire al governo di Enrico Letta la necessaria stabilità politica. Ma la suggestione, che ieri girava con insistenza tra Montecitorio e Palazzo Madama alla vigilia delle ferie, non trova alcuna conferma ufficiale. Anzi, nel Pd c’è chi sostiene che «è stata messa in giro dal Pdl» perché il capogruppo dei senatori, Renato Schifani, era informato dalla «missione» di Epifani e compagni dal capo dello Stato.
All’incontro, oltre ai capigruppo Roberto Speranza e Luigi Zanda, ha partecipato anche la presidente della commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama, Anna Finocchiaro, segno che il cuore del confronto ha riguardato le riforme. Alla riapertura delle Camere, Napolitano si aspetta dai partiti un segnale di impegno sulla legge elettorale, vuole che il «Porcellum» sia modificato al più presto con la cosiddetta clausola di salvaguardia, prima che (a fine anno) la Consulta si esprima in merito alla costituzionalità dell’intero sistema. I democratici assicurano che il presidente non abbia rivolto loro alcun «monito», né alcuna «minaccia» e che si sia trattato di una riflessione pacata sulla tenuta del governo e sull’urgenza delle riforme. Resta il fatto che Napolitano abbia molto insistito sulla necessità di placare le fibrillazioni, che rischiano di far saltare anzitempo l’esecutivo Letta. Lunedì era stata la volta dei capigruppo del Pdl, Brunetta e Schifani erano saliti al Colle per invocare «agibilità politica» per Berlusconi, ma di questo, dicono al Pd, con loro non si sarebbe parlato.
I democratici continuano intanto a farsi la guerra sulla data del congresso. Per i renziani la scadenza del 24 novembre è sacra, mentre la segreteria continua a prendere tempo. Tanto che molti cominciano a temere che l’asse Epifani-Franceschini-Letta-Bersani sia tentato di rinviare le assise alle calende greche. Uno «sbalordito» Paolo Gentiloni, in grande sintonia con Renzi, la spiega così: «Hanno l’incubo di un Pd guidato da Matteo, il terrore di vincere le elezioni se la situazione precipita… La più grande preoccupazione dei vertici del Pd è evitare che il sindaco possa diventare segretario».
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