Ora i salafiti si fanno avanti E riparte la faida tra sunniti e sciiti

by Sergio Segio | 19 Agosto 2013 6:43

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Sotto molti aspetti è proprio l’Islam, nelle sue molteplici espressioni, il protagonista principale di ciò che sta accadendo. In un quadro segnato da ben altri problemi, l’immaginario islamico pervade ogni fase delle gravi crisi che emergono dalla Nigeria al Pakistan. E slogan religiosi o contrasti insanabili sul terreno della legittimità sono diventati il pane quotidiano di una realtà che vede musulmani combattere contro altri musulmani. Tre le questioni che emergono con forza maggiore: la sorte nell’immediato futuro della Fratellanza musulmana, il contrasto sempre più acceso tra sunniti e sciiti, e la pervicace resistenza di un jihadismo polverizzato che ancora si richiama ad Al Qaeda.
Ciò che accade alla Fratellanza musulmana in Egitto segnerà in maniera definitiva il futuro della più importante organizzazione dell’Islam politico. Nata quasi un secolo fa in Egitto, la Fratellanza è giunta al potere in vari Paesi dopo decenni fatti di effimeri successi e più lunghe persecuzioni. In Egitto, la presidenza Morsi ne ha evidenziato limiti e scarse capacità a fronteggiare problemi complessi. L’appuntamento con la storia, tra l’altro benedetto anche dall’amministrazione americana, si è ben presto consumato tra incapacità di allargare il consenso e rigidità di vecchie leadership nello spartire potere come un consumato partito politico. Decenni di attesa e un trionfo elettorale paiono così ormai cancellati. Ma è tutto il Nordafrica che pare accomunato da tale destino. I partiti espressione dei Fratelli musulmani vacillano anche in Tunisia e Libia, subiscono attacchi da laici e salafiti che ne contestano titubanze e indecisioni. La reazione delle altre forze in campo e i propositi liquidatori dell’esercito egiziano generano dubbi sempre maggiori sul loro futuro politico.
In Nordafrica come in Egitto, però, l’eventuale ridimensionamento della Fratellanza musulmana non sarà la fine dell’Islam politico. Gli stessi Fratelli musulmani e i loro sostenitori non scompariranno nel nulla e i ben più insidiosi salafiti già incombono. Opportunisti in politica ed estremamente variegati nelle scelte strategiche, i salafiti sono l’espressione di un Islam attento più a questioni di purità e di etichetta personale che non a proclami collettivi. Accompagnati dai soldi sauditi e del Golfo, hanno capacità di penetrazione capillare, e rappresentano sotto molti aspetti una forza post politica, in chiave islamica; che punta apparentemente sulla fede dei singoli più che sulla presa del potere. Ma la loro predicazione ha ed avrà inevitabili sbocchi politici. Un tracollo politico della Fratellanza non potrà che rafforzarli.
Il Vicino Oriente sul versante asiatico del Mediterraneo sembra vivere invece una condizione diversa, legata al secolare contrasto tra sunniti e sciiti. Con l’ombra dell’Iran alle spalle, la tragica situazione siriana ruota intorno allo scontro tra la minoranza sciita alawita degli Assad da un lato e la variegata opposizione sunnita dall’altro. L’Iraq brucia ormai da mesi in attentati antisciiti che tendono a destabilizzare una realtà nazionale in cui sciita è la maggioranza destinata a governare. Il Libano vive ormai da tempo le tensioni del conflitto siriano che ne sollecitano il precario equilibrio confessionale. L’ultimo attentato contro Hezbollah ne è un esempio evidente, soprattutto nel nome del gruppo che lo ha rivendicato: le Brigate di Aisha. Moglie del profeta Maometto, Aisha è nella storia islamica la nemica giurata di Ali e quindi degli sciiti. Scegliere il suo nome per rivendicare un attentato significa sfidare con perfidia gli sciiti Hezbollah utilizzando a piene mani l’immaginario fondante dell’Islam. Non molto diverso, in questo ambito, è del resto quel che avviene in campo sunnita: richiami al martirio, oppure gli slogan che vanno dai continui giorni della rabbia alle adunate di venerdì stanno a ricordare come sunniti e sciiti si combattono sul terreno simbolico utilizzando a piene mani richiami al tempo di Maometto. Si perpetua così un tradizionalismo che inevitabilmente radica lo scontro sempre più dell’immaginario religioso ed impedisce di guardare avanti.
In tale situazione, in tutte le regioni e anche oltre, si affaccia ancora minacciosa la presenza del radicalismo militante, della stessa Al Qaeda e di tutte le organizzazioni che ad essa si rifanno. Se la morte di Bin Laden aveva illuso sulla loro fine, gli avvenimenti di questi ultimi due anni dimostrano l’esatto contrario. Abbandonato l’Afghanistan e i progetti strategici di attacco diretto agli Stati Uniti e l’Occidente, le varie cellule jihadiste paiono tornate a guardare alle loro realtà nazionali. Lo scopo è ora quello di destabilizzare la realtà interna e di consolidare una presenza sul terreno. Ciò avviene con maggiore capacità in Yemen o in certe zone dell’Africa subsahariana o del Pakistan, oppure entra con forza nella confusa situazione siriana, libanese e irachena o nel Sinai egiziano. Uccisioni mirate di militari, autobombe e attentati di altro tipo, compresi quelli contro i cristiani, segnano le attività di gruppi dalla consistenza sconosciuta ma in apparente espansione, più spesso sunniti e visceralmente antisciiti oltre che anticristiani. E accanto ai destini dell’Islam politico e allo scontro settario, questo nuovo jihadismo aumenta interrogativi e genera continue apprensioni sull’immediato futuro di tutto il mondo islamico.

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