No al piano cancella-interdizione il Quirinale gela il Cavaliere senza domanda grazia impossibile

by Sergio Segio | 29 Agosto 2013 6:48

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L’ULTIMA trovata per salvarsi non ha retto lo spazio di un mattino. Chiedere a Napolitano di commutare magari solo l’interdizione dai pubblici uffici? Il piano berlusconiano dal Colle non viene preso in considerazione.

QUESTA strada appare impraticabile a Giorgio Napolitano anche di fronte al nuovo pressing rivelato ieri da Repubblica.
Impossibile poter mettere mano solo al capitolo dell’esclusione dai pubblici uffici di Silvio Berlusconi. Il capo dello Stato lo aveva del resto già lasciato intendere chiaramente, nella sua lunga e dettagliata nota del 13 agosto scorso. C’è un passaggiochiave in quella dichiarazione,
che — viene ricordato — resta la “bussola” del Quirinale nella battaglia sulle sorti del leader del Pdl. Questo: la porta aperta per valutare un’ipotetica richiesta di grazia può riguardare «un eventuale atto di clemenza individuale che incida sull’esecuzione della pena principale». La pena principale. Così, non a caso, ha messo nero su bianco quindici giorni fa il presidente della Repubblica. Dai berlusconiani è arrivato ugualmente un tentativo di forzatura. E dal Quirinale si rileva che in ogni caso la concessione della grazia non andrebbe a coprire e sanare automaticamente anche la pena accessoria dell’interdizione, ma appunto solo la condanna definitiva della Cassazione per la frode fiscale. Risultato: l’ex premier magari eviterebbe domiciliari o servizi sociali ma finirebbe comunque fuori dalla scena politica.
I sogni di una via d’uscita per Berlusconi “appoggiata” dal Quirinale tornano così nel cassetto. La moral suasion che il Colle sembra indicare agli ambasciatori di Berlusconi come agli inviati del Pd, che tengono i contatti in queste agitate giornate, resta allora un’altra: riflessione e valutazione attenta sul caso, questo sì, senza una corsa affannosa a chiudere il caso quando arriverà in Giunta.
Dal Pd si sono levate voci che non escludono l’ipotesi di portare davanti alla Consulta per una verifica di costituzionalità la legge
Severino. Senza al contempo manovre dilatorie all’infinito, senza strappi e rotture sulle regole, e soprattutto senza attacchi alla magistratura che al Colle non tollerano oltre. Da questo punto di vista la sordina di Berlusconi ai falchi può rappresentare un passo avanti. Con un risultato magari innescato da un eventuale approfondimento di qualche mese: si chiuderebbe la finestra per un voto anticipato in autunno, cosa che non può che far piacere al Colle.
Però gli strattoni alla giacca del presidente della Repubblica da parte del Pdl restano quotidiani, e senza tenere in considerazione i suoi poteri e il suo ruolo. Come potrebbe ad esempio il Quirinale mettersi a “sindacare” già sull’interdizione quando la Corte d’Appello di Milano determinerà solo nei prossimi mesi il tetto definitivo per l’ex premier? Nel centrodestra sognano di tirarla per le lunghe, allungare il brodo in Giunta fino appunto al verdetto dei giudici milanesi. Ma pare una missione impossibile. Emergono infatti altri ostacoli su quest’ultima manovra di salvataggio concepita dal Cavaliere. Impossibile infatti, giuridicamente, circoscrivere la commutazione al solo capitolo interdizione: si può trasformare solo la pena detentiva in ammenda (da calcolare secondo il numero di giorni di carcere). Possibile invece tecnicamente cancellare insieme sia la condanna che la pena accessoria. Ma appunto è un strada che Napolitano — lo dice la nota del 13 agosto — non intende imboccare.
In cima ad ogni cosa nella partita che il capo dello Stato sta giocando con l’ex premier a caccia del salvancondotto, resta la faccenda della grazia. Per il Quirinale, Berlusconi ha un unico modo perché venga presa in esame: chiederla. La valutazione di un atto di clemenza, che naturalmente non include affatto la garanzia di accettazione, passa per una formale richiesta e dunque l’accettazione della sentenza. E’ un punto sul quale il capo dello Stato ha più volte fatto sapere di non transigere. Anche per questo ha dato mandato al segretario generale del Quirinale Marra di scrivere una lettera al senatore Maurizio Gasparri, che invece parlava di una grazia concessa “motu proprio” a Joseph Romano, il colonnello americano condannato per il rapimento di Abu Omar. Non è andata così, gli hanno risposto dal Colle. «La domanda di grazia per Romano è pervenuta — ha risposto Marra al vicepresidente del Senato — l’ha inoltrata al Quirinale il suo avvocato ». E magari, ma di questo naturalmente non si fa cenno nella lettera, senza mettersi a fare la guerra ai magistrati che lo avevano condannato.

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