Maroni-Kyenge, la diplomazia segreta E Bossi attacca il suo successore

by Sergio Segio | 1 Agosto 2013 6:29

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ROMA — Il ministro Cécile Kyenge? «È lei che fa di tutto per non essere amata». E no, «io non l’avrei invitata alla nostra festa». E visto che Roberto Maroni ha già attivato un canale di contatto con il ministro dell’Integrazione perché confermi la sua partecipazione alla festa del Carroccio di Milano Marittima in programma dopodomani, «allora Maroni sbaglia. Non si dialoga con chi vuole distruggere la legge Bossi-Fini, che è l’ultimo baluardo rimasto contro l’immigrazione clandestina».
Non è un leghista qualsiasi a pronunciare queste frasi. L’esponente del Carroccio che sferra l’ennesimo attacco contro Kyenge si chiama Umberto Bossi. E queste parole, che il Senatur pronuncia ieri in un angolo appartato di Montecitorio, sono destinate a complicare la sfida tra la Lega e il ministro, vittima due settimane fa dell’insulto razzista di Roberto Calderoli. Quella stessa partita che Bobo Maroni sta facendo di tutto per chiudere.
Sa farsi capire bene, il Senatur. Molto bene. Sono le 18 di ieri pomeriggio. Qualche ora prima, Maroni aveva attivato con Kyenge un canale diplomatico attraverso due ambasciatori. Il fedelissimo Gianluca Pini, deputato del Carroccio. E l’amico-avversario Daniele Marantelli, parlamentare varesino del Pd, da tanti anni «ponte» tra il Pds-Ds-Pd e l’ex titolare del Viminale, che nel frattempo del Carroccio è diventato segretario.
A Bossi, evidentemente, i ramoscelli d’ulivo che Maroni sta mandando a Kyenge per preservare la sua partecipazione alla festa di sabato non piacciono. «La Bossi-Fini… La Bossi-Fini… Questo governo vuole aprire ai clandestini ma per noi, per i leghisti, la Bossi-Fini non si tocca», ripete il Senatur mentre va verso l’Aula di Montecitorio alle 17 e 30. Poi fa un segno con la mano. È il ritardo per una votazione e dà appuntamento a dopo. Il dopo è alle 18. Quando la scena si sposta davanti all’ascensore che porta alle stanze dei gruppi parlamentari. È lì che arriva l’attacco a Kyenge.
Gli insulti che i leghisti hanno riservato al ministro? La banana razzista che gli hanno lanciato mentre stava parlando dal palco della Festa del Pd di Cervia? «In giro c’è sempre qualcuno che fa il pirla», argomenta Bossi. Ma è un attimo. Perché la frase successiva è ancora rivolta al ministro dell’Integrazione. «Il problema però non sono i cretini che fanno queste cose. Il problema è politico. Sono quelli che vogliono smantellare la mia legge». Tra questi, ovviamente, c’è Kyenge. «Quella signora fa di tutto per non essere amata. Sulla Bossi-Fini non si dialoga. I nostri non vogliono. Non deve venire alla nostra festa chi vuole distruggere la mia legge». Ergo, al posto di Maroni, «io non le telefonerei».
Per capire il livello dell’ennesima guerra che può aprirsi nella Lega tra Maroni e Bossi bisogna riavvolgere il nastro e tornare a ieri mattina. La Padania ha scritto che Kyenge cerca «un alibi» per non partecipare alla festa leghista, dov’è in programma un suo confronto col governatore veneto Luca Zaia. E l’ex ministro della Giustizia Roberto Castelli ci ha messo il carico: «La Kyenge è una nullità politica» e la Lega (sottotesto, i maroniani) «sta dando troppa importanza a questa persona». Maroni vuole ricucire lo strappo col ministro, che gli ha chiesto un suo intervento diretto. Ma senza esporsi troppo. Da qui «la missione di pace», affidata a Pini e Marantelli.
È Pini a prendere contatto con lo staff di Kyenge. Il deputato leghista si sente rispondere che «l’appuntamento» è fissato dopo il question time della Camera. All’incontro c’è anche Marantelli. «Ministro», argomenta Pini, «è chiaro che queste offese nei tuoi confronti non riguardano la Lega. Sono gesti isolati. Noi siamo già intervenuti, li abbiamo stigmatizzati. Per noi, averti alla festa di sabato sarebbe un momento di confronto». Non solo. Il deputato, maroniano di ferro, invita Kyenge «a discutere insieme a noi di contenuti», perché «se rimaniamo fermi parlare delle offese la diamo vinta a chi vuole distruggere questo dialogo».
Il ministro ascolta. Ma su un punto, orgogliosamente, rimane ferma. «Io non ne sto facendo una questione personale. Questi attacchi però devono cessare. L’intervento diretto di Maroni l’ho chiesto soltanto perché è lui il segretario della Lega…». Poco dopo, Kyenge rilascerà qualche dichiarazione ai cronisti. «L’Italia non è un Paese razzista». Quanto agli attacchi subiti anche dalla Padania, «io aspetto solo la risposta di Maroni».
Al tramonto, c’è chi giura che un altro passo in avanti nei contatti tra Kyenge e Maroni ci sia stato. Qualcuno arriva a scommettere che, se non si sono già sentiti, i due si sentiranno oggi. Altri arrivano a scommettere che un faccia a faccia sia già stato messo in cantiere, in tempo per evitare che l’appuntamento di Milano Marittima salti. Ma nessuno può ancora sapere dell’attacco che il Senatur ha già sferrato. Esclusa Kyenge, ferma sulle sue posizioni, adesso tra la «colomba» Maroni e il «falco» Bossi qualcuno dovrà fare un passo indietro. Altrimenti nella Lega comincerà un’altra battaglia. E sabato è sempre più vicino.
Tommaso Labate

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