L’ULTIMO COMPROMESSO

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Resta da capire se salva anche quella dei molti italiani che soffrono i morsi della recessione e della disoccupazione. Quando si riducono le tasse, in un Paese che vanta il peggior livello di servizi e la maggior pressione fiscale d’Europa, una boccata d’ossigeno arriva comunque.

Se si considera che fino al 2012 molte famiglie hanno ipotecato persino la tredicesima per pagare la stangata sugli immobili, un risparmio di 4 miliardi non è poca cosa. È condivisibile la soddisfazione di Enrico Letta, che parla di «scelta coraggiosa ed equilibrata ». Il coraggio va apprezzato: rinunciare a un intero anno di imposta, in un’Italia che combatte con il più alto debito pubblico del mondo e che oscilla pericolosamente intorno al tetto del 3% di deficit concordato con l’Europa, è un bell’azzardo. L’equilibrio va dimostrato: che l’Imu fosse iniqua è oggettivo, ma il modo in cui la si cambia è decisivo.
C’è un groviglio tecnico, ancora tutto da districare. Come sarà coperto il buco enorme che si apre quest’anno nelle casse dei Comuni, private del gettito Imu? Per la prima rata è più o meno chiaro: qualche taglio di spesa (benché ancora vago), un prelievo su giochi e scommesse, un po’ di Iva in più grazie alla nuova tranche di pagamenti dello Stato alle imprese. Per la seconda rata è buio pesto: tutto è rinviato alla legge di stabilità di ottobre, che promette di essere ricca di incognite e povera di risorse. E cosa succederà l’anno prossimo? L’Imu sarà sostituita dalla Service Tax, sulla quale gli enti locali scaricheranno tutti i tributi attualmente in vigore per i servizi connessi agli immobili. Vedremo come funzionerà. Ma Prima e Seconda Repubblica insegnano: cambia il nome, non cambia il senso. Tra la vecchia e la nuova, sempre di tassa stiamo parlando.
C’è un nodo politico, ancora tutto da sciogliere. Il premier sostiene che l’accordo sulla cancellazione dell’Imu «è merito di tutti». È comprensibile che lo dica: non vuole lasciare che la destra si intesti la titolarità esclusiva del risultato, e che alla sinistra resti il «premio di consolazione » di una manciata di spiccioli per la Cassa integrazione e per altri 6.500 esodati. Ma è Berlusconi che canta vittoria, parlando di «promessa mantenuta» e addirittura, con un impeto di comicità involontaria per un condannato, di «etica della politica ». È Alfano che, a Consiglio dei ministri ancora in corso, «cinguetta » su Twitter «missione compiuta». Sono i ministri del Pdl che, a fine giornata, ringraziano il Cavaliere «per questo successo», che «senza di lui sarebbe stato impossibile».
È evidente che sull’Imu il premier e il Pd hanno giocato in difesa, finendo per cedere al «primo ricatto berlusconiano». L’hanno fatto su un terreno nel quale tutti gli italiani hanno qualcosa da guadagnare, come le tasse, e dunque pagando un prezzo politico modesto. Ma questo non può non pesare, sui prossimi appuntamenti che aspettano la maggioranza. Vincendo sull’Imu, Berlusconi ha perso un alibi: per far cadere il governo che non risolve i suoi problemi di «agibilità politica» voleva usare l’inciampo dell’odiata tassa sulla casa. Ora non può più farlo. Se vuole «assassinare» le Larghe Intese, che non gli garantiscono l’impunità giudiziaria, deve farlo a viso aperto, e deve avere la faccia tosta di spiegarlo agli italiani.
Non è escluso che lo faccia, conoscendo la dismisura culturale e istituzionale dello Statista di Arcore. Ma adesso è per lui oggettivamente più difficile. Non a caso Letta può osare e può dire che a questo punto il governo «è senza scadenza». Non è detto che sia vero. Ma certo tutto questo conferisce al Pd il massimo di libertà e di responsabilità, nel maneggiare il «secondo ricatto berlusconiano ». Sull’abolizione dell’Imu il compromesso è possibile. Sulla concessione del salvacondotto è inaccettabile.


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