Letta cauto: attendo la prova dei fatti

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ROMA — I primi cento giorni del governo cadono all’indomani del comizio di Berlusconi, quindici minuti di puro pathos che il capo del governo ha vissuto con i familiari nella casa dei genitori in provincia di Pisa, a Colignola. Quindici minuti in cui Enrico Letta ha ascoltato «con grande attenzione» le parole del Cavaliere, con uno stato d’animo sospeso tra preoccupazione, disagio per gli affondi contro la magistratura e, infine, sollievo per il pericolo scampato.
Lo scenario resta fragilissimo, ma il governo va avanti. L’ex premier ha rinnovato il suo sostegno all’esecutivo di larghe intese e l’inquilino di Palazzo Chigi può festeggiare, pur senza brindisi e fanfare, il primo traguardo temporale raggiunto. Oggi il sito del governo lancerà online un bilancio dei provvedimenti realizzati, accompagnati da una premessa di Letta sulla situazione politica, che resta sospesa nella più assoluta incertezza.
Se ha apprezzato il «rinnovato sostegno al governo» e l’assenza in piazza dei ministri, Alfano in primis, il premier rimane estremamente cauto. Il suo giudizio è sospeso, nell’attesa che la lealtà di Berlusconi venga confermata: «Avremo modo di verificare i fatti concreti nei prossimi giorni».
Il timore di Letta è di finire prigioniero delle provocazioni e dei ricatti del Pdl, preda delle variazioni di umore del Cavaliere. Ed è per questo che non rinuncia a considerare il piano B: staccare lui la spina, giocando una partita in prima persona. O il voto o un Letta bis per cambiare la legge elettorale.
Ma per adesso, visto che ripercussioni sul Parlamento non ce ne sono, Letta si concentra sulle cose da fare in una settimana che ritiene «cruciale». Oggi pranzerà con il ministro Saccomanni e il governatore Visco, poi volerà a Bolzano per incontrare il presidente della Provincia Durnwalder. Le Aule di Camera e Senato sono alle prese con tre decreti da convertire, «importanti provvedimenti» che il capo del Governo ha fretta di vedere approvati: finanziamento ai partiti, carceri, lavoro. E l’atteggiamento del Pdl sulle riforme sarà, per il premier, la «cartina di tornasole» dell’impegno che il Cavaliere ha assunto ieri davanti al suo popolo. E poi c’è il ruolo della magistratura, che Letta, in asse con Napolitano, difende a spada tratta. Con i vertici del centrodestra il premier è stato chiarissimo, il sacro rispetto delle istituzioni è per lui un confine invalicabile. Lontano anni luce dall’analisi di Berlusconi sul ruolo della magistratura nel sistema italiano, che ritiene «radicalmente diversa» dalla sua, Letta non discute il diritto del Cavaliere di dirsi innocente e criticare la sentenza. Ma non tollererà una parola di più contro il potere giudiziario. «Difendo la centralità e l’autonomia della magistratura» ripete il premier, deciso a impedire che piovano picconate su uno dei pilastri del sistema democratico.
Immaginare patti o scambi con salvacondotti o possibili amnistie sarebbe fuorviante, perché su questo sentiero Letta non intende incamminarsi. Per lui non c’è altra strada che quella maestra, tirare dritto e lavorare per l’Italia. Toccherà ancora navigare a vista cercando di non impattare sugli scogli, ben sapendo che uno dei più alti è la tenuta del suo partito.
Le parole di Pier Luigi Bersani, che vede «un percorso complicato da settembre in poi» se il Pdl non saprà separare la responsabilità politica dal destino di un condannato per via definitiva, rivelano come una parte dei democratici sia ancora molto tentata dall’idea del voto anticipato. «Tutti sanno che c’è bisogno di governo — avverte Bersani — tutti sanno che non si può governare a tutti i costi…». Insomma, il Pd non si fida. Anche Guglielmo Epifani aspetta le prossime mosse di Berlusconi e, come Letta, sta bene attento a non restare col cerino in mano. «È la solita doppiezza — ha commentato a caldo il segretario, con i collaboratori —. Da un lato Berlusconi rassicura col cuore in mano, dall’altro fa fibrillare il governo in modo pericoloso. Ma stia sicuro che non saremo noi a togliergli le castagne dal fuoco». Avanti, dunque. Ma se gli scomodi alleati del Pdl «faranno i matti» lo scenario cambierà. E a quel punto, se il vincolo di maggioranza dovesse andare in pezzi, tutto può succedere. Anche che Enrico Letta indossi l’elmetto e scenda in campagna elettorale.
Monica Guerzoni


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