“Legge Severino incostituzionale”

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ROMA — “LIBERO” di fare politica, ma da condannato. Il peggio, alla fin fine, per uno come Berlusconi. Pure con l’incubo della legge Severino. Costretto alla perenne gratitudine verso Napolitano. Cui comunque, lui o i suoi avvocati, questa mini-grazia dovranno necessariamente chiederla.

Oggi Ghedini show a partire dalle 10 al Senato. Nella giunta per le elezioni e immunità, nell’avito palazzo di Sant’Ivo alla Sapienza. Lui, l’avvocato-amico di Berlusconi, non ci sarà. Ma il suo lavoro di questi giorni ci sarà tutto. Imponente, aggressivo, giuridicamente supportato da una mezza dozzina di pareri di altrettanti avvocati e giuristi tra cui figura anche Vittorio Manes, collaboratore a contratto dell’ufficio studi della Consulta. Un fiore all’occhiello. Poi lui, Berlusconi in persona, con una memoria scritta per difendersi dalle accuse Mediaset e per aggredire l’incostituzionalità della legge Severino. Raccontano che avrebbe voluto intervenire direttamente, ma Ghedini lo ha fermato. Meglio lasciarsi quest’ultima possibilità qualora la giunta dovessero comunque decidere di votare la decadenza e desse a Berlusconi l’ultima chance per parlare.
Ma non basta ancora. Contemporaneamente al deposito di tutto questo materiale in giunta, anche un annuncio. Niccolò Ghedini ha messo a punto pure il ricorso alla Corte dei diritti umani di Strasburgo contro la legge Severino, perché essa violerebbe gli articoli 6 e 7 della convenzione, in quanto — ovviamente secondo l’interpretazione del legale di Arcore — non rispetterebbe né il principio per cui non si può essere puniti per un delitto non previsto nel momento in cui è stato commesso (irretroattività), né quello del giusto processo, perché i diritti della difesa sono stati ripetutamente violati dai giudici.
Annunciata, poi data per incerta, poi negata, eccola invece la manovra difensiva di Berlusconi in giunta. Essa punta tutto sulla necessità di portare alla Corte costituzionale la legge Severino con l’obiettivo di bloccare subito la procedura in giunta. Un passo, come ha spiegato Ghedini a molti dei suoi interlocutori giuristi, che non toglie a Berlusconi la possibilità di chiedere la grazia. Anzi, la asseconda, perché il ricorso alla Corte comporta di per sé tempi molto lunghi.
Almeno cinque nomi degli esperti cui Ghedini ha chiesto un parere sono trapelati. Un ex senatore di provenienza An e avvocato come Domenico Nania, poi non ricandidato. Un ordinario di diritto comunitario a Milano come Bruno Nascimbene, esperto di problemi dell’immigrazione. Avvocati romani come Augusto Sinagra e Andrea Saccucci. Ma soprattutto il penalista Vittorio Manes che ovviamente per il suo ruolo alla Consulta — solo un contratto con l’ufficio studi — non impegna la Corte con il suo parere, ma certo produce un buon impatto mediatico per chi, come Ghedini, sostiene che la legge Severino non sta in piedi. Il testo di Nania parla già chiaro, la giunta «è legittimata» a ricorrere alla Consulta. In 6 pagine, con citazioni di sentenze precedenti, Nania lo motiva spiegando che essa ha «natura di giudice». Ugualmente è convinto che una legge non possa stabilire la decadenza di chi è eletto, il quale risponde solo alla Camera di appartenenza per via dell’articolo 66 della Costituzione.
Una memoria che s’intreccia con lo scontro politico sulla possibilità o meno di ricorrere alla Corte fermando le lancette della giunta. Lo ha ipotizzato Luciano Violante, subito contrastato dal capogruppo Pd Luigi Zanda che nelle parole dell’ex presidente della Camera vede «una riflessione, ma non un’apertura». Idem per Davide Zoggia, responsabile dell’organizzazione dei Dem, che richiama le parole del segretario Guglielmo Epifani, cui «non solo dobbiamo attenerci, ma riconoscerle come nostre». Epifani, a Repubblica, ha detto «voteremo sì alla decadenza, io non ho mai avuto dubbi, e no al salvacondotto». Nel Pd molti sono decisi ad andare fino in fondo. Una è sicuramente la vice presidente Stefania Pezzopane che, alla notizia della memoria, reagisce così: «Nessuno toglie il diritto alla difesa, ma non siamo nella repubblica delle banane, è impossibile pensare che non si applica la legge a un leader di partito». Aveva detto Violante: «La giunta, se ritenesse che ci fossero i presupposti, potrebbe sollevare l’eccezione davanti alla corte». Con lui si ritrovano quelli del Pdl come Maurizio Gasparri che attacca Zanda e gli dà della «guardia rossa della rivoluzione».
I tempi stringono. Il relatore sull’affaire Berlusconi — il senatore Pdl Andrea Augello — è tornato a Roma per chiudere il testo. Da oggi avrà a disposizione anche memoria e pareri pro-veritate e sul suo dossier si aprirà un dibattito rovente in giunta.


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