Le preoccupazioni del Colle e la scommessa sulla tenuta dell’esecutivo

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«Torno in Italia più determinato di quando sono partito, convinto che il buonsenso prevarrà». Questo ha detto Enrico Letta ieri in Afghanistan, prima di imbarcarsi sull’aereo per far rientro a Roma. Una fermezza che ha dimostrato negli ultimi giorni anche con Giorgio Napolitano, davanti al quale si è dichiarato sicuro di riuscire a salvare il suo governo nonostante sembri ormai sull’orlo del baratro. Così raccontano coloro che, impegnati in continui sondaggi incrociati tra Quirinale e Palazzo Chigi per capire verso quale esito sfocerà la sfida all’estremo ultimatum lanciata dal Pdl, descrivono adesso un presidente della Repubblica più preoccupato (e non si sa se, in fondo, anche più pessimista) dello stesso premier, sulle sorti dell’esecutivo. Insomma, secondo tali ricognizioni, è soprattutto Letta che va tenuto sott’occhio adesso. Perché, se riuscirà a mantenere una concreta operatività dell’esecutivo, prendendo i provvedimenti di cui ha dato ripetuti annunci, potrebbe magari scavallare la crisi. Almeno per un altro po’.
L’appuntamento chiave per verificare se la risolutezza e la fiducia del premier hanno fondamenta adeguate è il Consiglio dei ministri di dopodomani. Quando l’esecutivo cercherà una sintesi su quei temi economici che sono il cuore della propria missione e che rischiano però di diventare il pretesto per una rottura da non imputare (nella strategia del Pdl) al solo caso della decadenza da senatore di Silvio Berlusconi. Risolutivo sarà in particolare il nodo dell’Imu, sul quale la maggioranza è divisa tra l’abolizione totale, pretesa dal centrodestra, o la rimodulazione, scelta dal Pd. Esiste una terza via, in grado di azzerare l’irresponsabile e ricattatorio gioco del cerino? E il premier, cui viene attribuita la forza tranquilla di chi sa resistere senza spezzarsi agli impulsi di quanti lo schiacciano da ogni parte (il cosiddetto «poder mineral» di Carlo V, molle e roccioso insieme, ossia la «resilienza»), saprà trovare la quadra? E ancora: davvero il centrodestra è pronto a far saltare le larghe intese su questo fronte, rischiando di accollarsi il peso — elettoralmente assai sensibile — di aver vanificato misure di grande impatto sociale: dalla messa in sicurezza di decine di migliaia di esodati alla regolarizzazione dei precari della pubblica amministrazione?
Ecco il tentativo che Enrico Letta è chiamato a compiere e che il capo dello Stato seguirà con la massima attenzione. Dopo il consiglio di guerra del Pdl, sabato pomeriggio ad Arcore, molti sostengono che siamo oramai «oltre il Rubicone» e danno per inevitabile, e imminente, la caduta del governo. Questo anche perché il Cavaliere, con il via libera ai «falchi» e alle «amazzoni» più votati al nichilismo, sembra prepararsi alla battaglia finale, alimentando una serie di attacchi che non risparmiano nessuno. Neppure Napolitano, accusato di aver tradito le attese e dal quale perciò il Pdl, definendo «costituzionalmente inaccettabile» la decadenza del suo leader e insistendo a oltranza sulla questione della «agibilità politica», dice di «non aspettarsi più nulla». E lasciando un minimo margine di mediazione (con il Pd) ai suoi ministri e al vicepremier e segretario del partito, Angelino Alfano. Proprio Alfano ha lasciato intendere ieri di voler incontrare al più presto il presidente della Repubblica e, per quanto dal Colle spieghino di non avere notizia di richieste formali, un’udienza sarà con ogni probabilità accordata: troppo importanti le ragioni della stabilità per non provar a spegnere l’incendio.
Napolitano, a onor del vero, ha già messo le carte in tavola e dal suo punto di vista qualsiasi ripensamento o negoziato «politico» appare impossibile. Nel lungo messaggio diffuso il 13 agosto ha delineato i rischi «fatali» di una crisi al buio per il Paese e ha escluso di sciogliere le Camere senza una riforma della legge elettorale. Ha riconosciuto il ruolo politico di «leader incontrastato» svolto da Berlusconi. Ma ha ripetuto che le sentenze, e la magistratura, pur criticabili, vanno rispettate, spiegando a ogni buon conto le regole, i limiti e le procedure per rendere possibile un atto di clemenza, tra quelli che ha la prerogativa di concedere. Da allora, le ipotesi di ricorso alla grazia o alla commutazione della pena sono state quasi del tutto abbandonate dal Pdl (per l’impervia praticabilità e perché lo stesso Cavaliere si dimostra poco propenso a ricorrervi) e la battaglia si è quindi spostata sul problema della sua decadenza al Senato e sull’esistenza o meno di presupposti giuridici per prendere tempo, aggirando i vincoli della legge Severino. Un problema che investe una sfera politica da cui Napolitano si vuole mantenere rigorosamente estraneo, anche se segue con ansia tutto ciò che accade a Montecitorio e dintorni. Ansia comprensibile. Infatti, per come si sono messe le cose, se arriveremo alla crisi, sarà una crisi più che politica. Istituzionale. Di sistema.
Marzio Breda


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