La rivoluzione dell’Uruguay marijuana come monopolio di Stato
«QUALCUNO dovrà pur iniziare a rompere il tabù. E l’Uruguay è un piccolo Paese: può riuscirci». Quando oltre un anno fa José Mujica, detto “Pepe”, aveva annunciato di voler trasformare il suo Paese da 3,3 milioni di abitanti in un laboratorio della legalizzazione della marijuana, sembrava solo un’ardita idea di un presidente di sinistra. Invece, l’Uruguay si appresta davvero a diventare la prima nazione al mondo a rendere legale tutto il mercato dello spinello: dalla produzione alla vendita. Dopo un infuocato dibattito di oltre 13 ore, in cui l’opposizione ha votato compatta contro e promosso un referendum sul tema, nella notte di mercoledì la Camera bassa ha approvato con 50 voti favorevoli (46 contrari) il progetto del capo di Stato “tupamaro”. Resta da attendere il via libera del Senato, ma lì la coalizione governativa del Frente Amplio ha una maggioranza meno stretta. Così, già entro la fine del mese la proposta potrebbe diventare legge e cementare la reputazione dell’Uruguay come uno dei Paesi più progressisti dell’America Latina.
Da tre anni al potere, il presidente ex guerrigliero è riuscito a far depenalizzare l’aborto, con una legge che gli oppositori hanno tentato di abrogare in un fallimentare referendum. Ad aprile, ha introdotto le nozze gay, dando alle coppie omosessuali anche la possibilità di adottare figli. E ora “Pepe”, il “capo di Stato più povero al mondo” (trattiene solo il 10 per cento dello stipendio, 800 euro: il resto lo devolve ai poveri), che dice di non aver mai fumato una “canna” in vita sua, intende regolarizzare quelli che lo fanno, nonostante oltre il 60 per cento della popolazione sia contraria.
L’Uruguay andrà oltre il Colorado e Washington State, che nel 2012 hanno ammesso la “maria” a scopo ricreativo. E non sarà una nuova Olanda, dove si è legalizzata la vendita, ma non la produzione, lasciandola così nelle mani del narcotraffico. La legge uruguaiana non solo autorizza i cittadini a coltivare fino a sei piante in casa (99 nel caso di cooperative tra persone): permette anche a società private di darsi alla produzione industriale, a patto che il raccolto sia venduto interamente allo Stato. Il Paese incastonato tra Brasile e Argentina non diventerà però un’oasi del “turismo dello spinello”, stile Amsterdam: l’acquisto sarà vietato agli stranieri e permesso ai cittadini maggiorenni (massimo 40 grammi al mese) solo nelle farmacie dotate di licenza. In sostanza: monopolio di Stato, la cannabis come il tabacco. Un business che non sarà stimolato dalla pubblicità e che oggi, ancora saldamente controllato dai cartelli della droga, vale attorno ai 40 milioni di dollari. Soldi che lo Stato promette di destinare in buona parte alla prevenzione e all’agenzia di controllo che terrà il registro degli utenti delle farmacie, dove si venderanno anche prodotti terapeutici realizzati alla cannabis.
«È una legga che non promuove il consumo: lo regolarizza », ha spiegato prima dell’appassionato dibattito parlamentare il promotore della norma, Sebastian Sabini. Nella maggioranza c’era persino chi, come Dario Perez, ha sostenuto che «la marijuana è una merda», ma si è turato il naso per votarla compatto con gli alleati. Dopo l’approvazione, fuori dal Parlamento gli attivisti pro-marijuana hanno intonato balli e canti. Mentre chi nel resto del mondo ormai riconosce, come l’Onu, il fallimento del proibizionismo, aspetta di vedere cosa accadrà nel piccolo laboratorio latino-americano della legalizzazione. Gli attivisti americani della US Drug Policy Alliance, invece non hanno bisogno di attendere: nell’accogliere la notizia, hanno detto: «A volte Paesi piccoli, fanno cose grandi».
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Leader della coalizione di sinistra “Frente Amplio”, José “Pepe” Mujica è presidente dell’Uruguay dal marzo 2010. In questi anni è stata approvata la legge che depenalizza l’aborto e quella su matrimoni gay e adozioni. Ha promosso politiche innovative anche sulle rinnovabili
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