LA PROPOSTA IRRICEVIBILE

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O ha provato a manomettere la realtà dei fatti e a manipolare la verità delle parole con la fumisteria delle formule. Alfano, pena la sopravvivenza stessa della «strana maggioranza», chiede al governo di farsi carico di ciò che al governo non compete: salvare il Cavaliere, condannato in via definitiva per frode fiscale, dalla decadenza e dall’incandidabilità. Una proposta indecente. E dunque irricevibile.

Si disvela così, finalmente, la vera natura della Grande Coalizione. Per questa destra italiana, dominata dalla figura del padre totemico che la «massa primaria» ama senza se e senza ma, il governo di Larghe Intese non riflette un equilibrio politico transitorio ma più avanzato, utile a risolvere le emergenze finanziarie del Paese. È invece solo uno strumento «tecnico », utile a risolvere le urgenze giudiziarie di Berlusconi. Per questa destra italiana, incapace di accettare le regole dello Stato di diritto e di affrancarsi da una leadership autocratica e totalizzante, il governo è in effetti «di scopo». Ma lo «scopo», a dispetto della propaganda bugiarda del dopo-elezioni, non è la tutela dell’interesse nazionale ma la difesa di un interesse personale. Se questo interesse non può essere difeso, perché le sentenze sono esecutive e non c’è presidente della Repubblica né presidente del Consiglio che ne possano vanificare gli effetti, allora il governo non serve più. E si può anche sciogliere il vincolo che lo fa nascere e lo tiene insieme.
Questo è il senso del Pdl per le istituzioni. Dopo il fallimento dell’assedio al Quirinale, dove Napolitano custodisce con cura la Costituzione repubblicana, e dopo l’ultima riunione del «gabinetto di guerra» a Villa San Martino, dove l’armata berlusconiana decide la nuova offensiva, Alfano osa l’inosabile. Garantisce la tenuta del governo, solo a condizione che Letta (e attraverso Letta il Pd) faccia votare no alla Giunta per le autorizzazioni, e poi all’aula del Senato, alla decadenza del Cavaliere, che la legge Severino prescrive in automatico. O solo a patto che il premier (e attraverso il premier il centrosinistra) accetti quanto meno uno slittamento del voto di Palazzo Madama. I Dottor Stranamore di Arcore esigono un «approfondimento ». Lo chiamano così.
Questo, in realtà, è più volgarmente un ricatto. Un ricatto che serve a tenere in ostaggio non solo il governo, ma un intero Paese, che invece di arrovellarsi sui salvacondotti di Berlusconi avrebbe un disperato bisogno di concentrarsi sulle strategie per la crescita e per il lavoro. E se questo non accade non è colpa delle ossessioni coltivate dall’anti-berlusconismo, ma delle devastazioni prodotte dal berlusconismo. Disposto, come sempre, a giocare al «tanto peggio tanto meglio». A scambiare la stabilità solo con l’impunità. E a dare corpo purtroppo alle profetiche preoccupazioni formulate dal Capo dello Stato nella sua nota di Ferragosto, quando si chiede di non accettare le decisioni della magistratura, e di evitare «ritorsioni» improprie sulle altre istituzioni.
È esattamente quello che sta per succedere. Dopo lo strappo di Palazzo Chigi, com’era prevedibile, la crisi si avvicina a grandi passi. Una crisi quasi al buio, dove non si vedono spiragli per elezioni anticipate (che il Colle non vuole espressamente concedere), ma dove non si vedono margini per maggioranze alternative (che Grillo non è palesemente in grado di assicurare). Nell’arca del Pdl, che molla gli ormeggi tra sentenze dei tribunali e pronunce del Senato, c’è ormai posto solo per caimani, falchi e pitonesse. Ma il diluvio universale, purtroppo, investirà l’Italia, e non solo i naufraghi, disperati e irresponsabili, della “nuova” Forza Italia.

 


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