La Germania dorme sull’orlo del vulcano

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 Schaeuble, che nel governo Merkel, insieme alla ministro del Lavoro, è l’ultimo “europeo” di origine tedesco-occidentale, parla per convinzione. È tutt’altro che un revisionista storico il quale voglia rendere reversibile l’ancoraggio della Germania all’Europa e distruggere le fondamenta della stabilità dell’ordine postbellico. Egli conosce il problema il cui ritorno noi tedeschi dobbiamo temere.
Dopo la fondazione dell’Impero nel 1871 la Germania acquisì una fatale posizione semiegemonica in Europa: “Troppo debole per dominare il continente, ma troppo forte per subordinarsi a esso”. Anche questa realtà aprì la strada alle catastrofi del ventesimo secolo. Grazie al successo dell’Unione europea, non solo la Germania divisa postbellica, ma poi anche la Germania riunificata riuscì a non ricadere nel vecchio dilemma. È nell’interesse della Repubblica federale che ciò non cambi. Ma non è forse cambiata la situazione? Wolfgang Schaeuble con quel suo intervento ha reagito a un pericolo reale. Ed è egli stesso sia a imporre a Bruxelles la linea dura di Angela Merkel, sia a vedere la crepa che potrebbe far crollare il nocciolo dell’Europa.
Schaeuble non si muove d’un millimetro dalla posizione della Cancelliera, decisa a non caricare sulle spalle dei contribuenti tedeschi nessun centesimo in più dell’esatta cifra dei crediti promessi, perché i mercati finanziari li hanno imposti, per salvare l’euro. Questo corso politico tradotto in pratica con durezza estrema non esclude naturalmente un gesto di centinaia di milioni di crediti alle piccole e medie imprese, crediti che lo zio ricco di Berlino concede allo spossato parente povero di Atene.
La realtà è che il governo Merkel impone alla Francia e ai “paesi del Sud” la sua discussa “agenda della crisi”, mentre la politica di acquisto di titoli sovrani da parte della Bce concede un appoggio non apertamente riconosciuto. Allo stesso tempo la Germania rifiuta di assumersi la responsabilità paneuropea per le disastrose conseguenze delle scelte che essa fa nell’esercizio di questo ruolo di politica di potenza. Pensiamo soltanto all’atroce disoccupazione giovanile nel Sud dell’Europa, causata da una politica di rigore condotta sulle spalle dei membri più deboli della società. In questa luce, il messaggio “niente Europa tedesca!” acquista anche un senso non molto bello, cioè il fatto che la Repubblica federale dissimula il suo ruolo, sfugge alle responsabilità. Da un punto di vista formale, il Consiglio europeo decide all’unanimità. Angela Merkel, formalmente uno dei 17 membri dell’eurozona, può così perseguire senza freni gli interessi nazionali tedeschi, o quelli che ritiene tali. Il governo tedesco trae dal predominio economico del paese vantaggi persino sproporzionati, e dai partner non emergono dubbi sull’ambiziosa fedeltà europeista dei tedeschi.
Ma come può un gesto di umiltà rendersi credibile a fronte di una politica che usa in modo impudico il proprio sovrappeso economico e demografico? Quando per esempio regole più severe sulle emissioni delle auto, in nome della svolta energetica, possono danneggiare l’industria tedesca, per interventi della Cancelliera la decisione deve essere rinviata finché la lobby dell’auto sia soddisfatta o finché le elezioni tedesche siano passate.
Alla Francia e ai paesi in crisi un governo federale sempre più isolato impone, in nome di imperativi di mercato cosiddetti “senza alternativa”, una dura politica di rigore. Contro ogni evidenza ritiene che tutti i paesi membri dell’unione monetaria possano decidere da soli sulla loro politica di bilancio ed economica. Nel caso, devono, con aiuti del fondo salvastati ma con loro decisioni sovrane, “modernizzare” la loro economia e i loro Stati e accrescere la loro competitività. Questa finzione di sovranità è comoda per il governo federale, perché risparmia al partner più forte la necessità di tenere conto degli effetti negativi che tali politiche possono avere per i paesi più deboli. Contro tale realtà Mario Draghi già un anno fa aveva ammonito, “che non è né legittimo né economicamente sopportabile che la politica economica di singoli paesi porta a pericoli e rischi oltre i confini nazionali per i partner”.
La politica europea è caduta in un trappola: se non vogliamo abbandonare l’unione monetaria, una riforma istituzionale che richiede tempo è da un lato necessaria, dall’altro lato impopolare. Per questo i politici che vogliono essere rieletti respingono e rinviano questo problema. In seria difficoltà è soprattutto il governo tedesco, perché da tempo con le sue azioni ha assunto una responsabilità paneuropea. È anche il solo governo che possa prendere l’iniziativa di un passo in avanti dell’Europa, un progetto in cui da più di mezzo secolo i più prestigiosi uomini di Stato d’Europa hanno investito le loro migliori energie.
Che cosa significa d’altra parte “impopolare”? Se una soluzione politica è ragionevole, dovrebbe essere proponibile a un elettorato. E quando, se non prima di elezioni politiche tedesche? Tutto il resto è simulazione. Sottovalutare gli elettori e chiedere loro poco è sempre un errore. Io ritengo che le élite politiche tedesche commetteranno un errore storico se continueranno a chiudere gli occhi e a simulare un “business as usual”, continui confronti da gente dalla vista corta su piccole intese a porte chiuse come risposte alla sfida del momento.
Invece, le élite politiche tedesche dovrebbero parlare chiaro ai loro cittadini inquieti, che come elettori non si sono mai sentiti rivolgere grandi questioni e domande di peso europee. Dovrebbero condurre in modo offensivo un inevitabile confronto polarizzante su alternative, nessuna delle quali sarà priva di costi da affrontare. E non possono permettersi di continuare a tacere sugli effetti negativi della ripartizione delle risorse in Europa, che i “paesi donatori” nel loro interesse a lungo termine dovrebbero mettere in conto come unica soluzione costruttiva.
Conosciamo la risposta di Angela Merkel: tranquillizzare con inciuci. Sembra che alla sua personalità pubblica manchi qualsiasi nocciolo normativo. Dall’esplosione della crisi greca nel maggio 2010 e dopo le elezioni perse in Nordreno-Westfalia, la Merkel subordina ciascuno dei suoi passi ben meditati all’opportunismo del mantenimento del potere. La brava Cancelliera se la cava con chiara comprensione degli eventi, ma senza valori costitutivi visibili, e tiene fuori dalla campagna elettorale, per una seconda volta, qualsiasi tema controverso, per tacere della sua accuratamente isolata politica europea. Lei può dettare l’agenda, perché l’opposizione, se insistesse a parlare del tema Europa in campagna, dovrebbe temere di essere colpita dalla clava della “Unione dei debiti” europea. Colpita da persone che potrebbero solo dire le stesse cose sull’Europa, se solo parlassero. L’Europa è in uno stato d’emergenza, e il potere politico decide chi autorizza a rendere pubblico un tema di dibattito. La Germania non danza bensì sonnecchia sull’orlo del vulcano.
Élite fallimentari? Ogni paese democratico ha i politici che si merita. E aspettarsi da politici eletti un comportamento oltre la routine ha qualcosa di irreale. Io sono felice di vivere in un paese che dal 1945 non ha più bisogno di eroi. E non credo che siano singole persone a fare la Storia, certo non in generale. Constato semplicemente che esistono situazioni eccezionali, in cui la capacità di comprensione della realtà e la fantasia, il coraggio e la prontezza ad assumersi responsabilità per gli sviluppi futuri da parte di chi governa fanno la differenza.


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