La Cgil concilia al call center E la Costituzione?

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Abbiamo pubblicato la sua lettera con una risposta domenica scorsa – testi integrali al link: www.ilmanifesto.it/area-abbonati/in-edicola/manip2n1/20130804/manip2pg/05/manip2pz/344057/ – ma in quel caso ci siamo soffermati sul tema più generale della contrattazione. Adesso vorremmo analizzare meglio quell’accordo. Che, a nostro parere, potrebbe anche configurare alcuni rilievi di incostituzionalità.
In un nostro primo articolo, uscito il 2 agosto, avevamo sottolineato la parte «progressiva» del contratto, ovvero il fatto che finalmente i cocoprò accedessero alla paga da contratto nazionale: e Cestaro giustamente ci scrive che «i lavoratori a progetto, nel settore delle tlc, erano, fino a ieri, in assenza totale di regolamentazione». Tutto vero. Va però ricordato un punto fondamentale: non è stata la capacità di contrattazione, di per sé meritoria, ad aver conquistato la paga da contratto ai cocoprò. La pressione dei sindacati ha solo fatto in modo che si applicasse la legge Fornero, che già da sola prevede, oggi e per tutti i cocoprò italiani, «minimi retributivi corrispondenti a quelli dei dipendenti» dello stesso settore e che svolgano analoga mansione.
Anzi, a dirla tutta, questo contratto inquadra i lavoratori a un livello più basso del normale operatore telefonico delle tlc (al secondo livello anziché al terzo) e spalma su 5 anni il raggiungimento di una paga che dovrebbe essere subito e già obbligatoria e disponibile, peraltro senza certezza (ogni anno l’adeguamento è sottoposto a verifiche con le aziende). Insomma, ripetiamo: si è solo indotto le imprese che fossero fuori legge, ad applicare la Fornero.
Ma proprio sul nodo della legge – e della legalità – arriviamo all’altro punto di quell’accordo, grave e che continua a non convincerci. Si chiede infatti al lavoratore che voglia essere inserito nel bacino di prelazione per i successivi contratti, sempre a progetto (e se del caso, ma non è assicurato, da dipendente) di firmare una conciliazione sul pregresso. Ma, in premessa, la stessa intesa afferma di voler «contrastare gli abusi», e stabilisce peraltro paghe orarie. Ma un autonomo non dovrebbe guadagnare per obiettivi e non per paghe orarie sempre uguali?
Palesi contraddizioni, queste, con la richiesta di far firmare conciliazioni: quindi anche le aziende che compissero abusi, che violassero le leggi, che fossero magari contigue – e chi lo sa – a organizzazioni criminali, avrebbero sul piatto d’argento questa conciliazione, fatta evidentemente sotto ricatto? Perché altrimenti perdi il diritto al posto (precario).
La Cgil vuole avallare queste firme, con un suo delegato o sindacalista seduto davanti a datori di lavoro che, in alcuni casi, potrebbero violare pesantemente le leggi?
Cestaro ci invita a «non fare solo critiche, ma avanzare anche suggerimenti». Lungi da noi l’idea di ergerci a giudici schizzinosi, a proporre utopie senza se e senza ma. Abbiamo sempre seguito il difficile lavoro dei sindacalisti, anche quello utile e faticoso della Slc Cgil: ci rendiamo conto che il mondo non è mai come lo vorremmo, e che in tempi di crisi si è posti di fronte a scelte complicatissime e dolorose. Detto questo, la conciliazione ci pare un po’ troppo: la Cgil finora ha ammesso questo documento solo a fronte dell’offerta di un tempo indeterminato, perché evidentemente migliorativo della condizione di chi lo firma. Ma essere esclusi, essendo già precari e molto ricattabili, da un bacino di ulteriore precariato, solo perché non si è voluto sottoscrivere un testo che potrebbe essere non veritiero: tutto questo è conforme ai dettami della nostra Costituzione? Chiediamocelo: le nostre pagine restano a disposizione per approfondire questo dibattito.


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