La battaglia di Gibilterra

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MADRID. La Royal Navy arriva domenica. Una portaerei, la “HMS Westminster”, altre due fregate da guerra e cinque navi appoggio, toccheranno terra a Gibilterra nel momento di massima tensione fra i governi di Londra e Madrid intorno al destino del Peñon, la Rocca britannica in terra di Spagna, che da trecento anni avvelena le relazioni fra i due paesi. L’ultimo a chiudere la frontiera, (la Verja, il cancello), fu Franco, il dittatore, nel 1969. Ma a nessuno sfuggirà che l’arrivo della flotta britannica, mentre Rajoy e Cameron si scambiano bollettini infuocati gonfi di reciproche minacce, ricorda ben altre circostanze e latitudini. Tutto è cominciato per i blocchi di calcestruzzo che il Governatore inglese della Rocca ha fatto gettare di fronte all’aeroporto nella baia di Algeciras,creando una scogliera artificiale che dà molto fastidio ai pescherecci spagnoli:l’ennesimo schiaffo nei cahiers de doléances che
le due capitali si rinfacciano.
Insieme alla questione della sovranità sul piccolo territorio, il governo di Madrid protesta convinto che Gibilterra sia un centro delle truffe.

Da quelle fiscali, società e privati che hanno la residenza fiscale nella Rocca ma operano in Spagna; ai casinò online; al contrabbando di sigarette e benzina. Alla progressiva “espansione” dell’area di Gibilterra, di cui la scogliera artificiale è solo l’ultimo episodio. Mentre Londra teme che, per convincerla al negoziato su una futura cessione di sovranità (stile Hong Kong), Madrid abbia già deciso di “strangolare” el Peñon.
Le estenuanti code, per entrare ed uscire da Gibilterra, per gli accuratissimi controlli cui la Guardia Civil sottopone in queste settimane lavoratori e turisti sono solo l’anticipo della prossima mossa: una tassa da 50 euro da pagare alla Spagna per attraversare la Verja.
La strategia di Rajoy sembra puntare ad innalzare al massimo la conflittualità con Cameron per poi portare la vicenda all’attenzione delle istituzioni internazionali nell’anniversario — 1713 — del Trattato di Utrecht, quello con cui la Spagna cedette la minuscola penisola sulle Colonne d’Ercole. Deferire la Gran Bretagna all’Onu, facendo fronte comune con l’Argentina che rivendica le Falkland, o scatenare una battaglia giuridica al Tribunale internazionale dell’Aja. Nei due casi, Londra ribatte che “l’autodeterminazione” è più importante dell’integrità territoriale. E siccome né gli abitanti della Rocca, né quelli delle Falkland-Malvinas, hanno neppure la più pallida intenzione di diventare spagnoli o argentini, il problema non si pone.
Inevitabile che nel weekend il passaggio della flotta da guerra inglese — che poi proseguirà per manovre Nato previste nel Golfo Persico — infiammerà ancor di più gli animi con i pescatori spagnoli che getteranno, in segno di protesta, le loro reti davanti al porto. Sta di fatto però che nel suo momento di massima debolezza, Mariano Rajoy, il presidente del governo spagnolo ha trovato il pretesto per costringere tutti a parlare d’altro. Lo scenario resta incerto ma insieme allo spread ai minimi e all’occupazione, leggermente salita grazie al turismo, un sospiro di sollievo, in questa calda estate di scandali e turbamenti, il governo può finalmente tirarlo. Un breve sospiro, perché ieri di fronte all’Audiencia Nacional, il tribunale speciale di Madrid, sfilavano come testimoni tutti gli ex segretari e gli attuali dirigenti del Partito Popolare incastrati “nell’affare Bárcenas”, l’ex tesoriere in carcere del partito, che ha rivelato l’estesa trama dei fondi neri utilizzati per pagare stipendi extra (esentasse) ai leader del centro destra spagnolo. Una bomba a orologeria nella mani di un magistrato tignoso, Pablo Ruz, che rischia prima o poi di prendere all’amo anche Rajoy. Tignoso Ruz, tanto quanto il giudice di Palma di Maiorca che vuole mettere sotto accusa la figlia minore del re, l’Infanta Cristina, per aver avallato gli imbrogli del marito.
Madrid intanto diventa una capitale low cost.
La nuova moda sono i bar, le palestre, i pasti take away, ma anche i negozi di vestiti e i parrucchieri, a prezzi stracciati. Pasta o riso ad uno, due, massimo tre euro. Mentre “Dental low cost”, una società di dentisti, promette cure scontante del 50% rispetto ai prezzi di mercato. «Il cliente — scrive
El Paìs — cerca servizi di base, senza valore aggiunto, non ha bisogno di altro», raccontando le nuove forme di vita della metropoli che partorì la
movida, le notti più ludiche e spendaccione d’Europa. E un giornalista economico, Ramon Muñoz, pubblica un libro dal titolo apocalittico: “Spagna, destino Terzo mondo”, sottolineando come «grazie alla globalizzazione possiamo goderci merci e servizi a basso costo prodotti in altri paesi con stipendi miserabili, ma non ci vorrà molto perché gli oggi felici consumatori di questi beni dovranno accettare paghe low cost o la disoccupazione». Fatalità mentre il Fondo monetario internazionale propone alla Spagna, come soluzione per l’economia, di abbassare i salari del 10 percento nella speranza
che torni ad essere terra di investimenti dall’estero.
In questa lunga crisi economica e politica la parola chiave è diventata “rigenerazione” perché è tutta l’architettura istituzionale, quella uscita dalla dittatura e dalla transizione degli anni Ottanta, ad essersi smarrita. Dal sistema elettorale che premia i due grandi partiti (Pp e Psoe), a quello federativo delle autonomie regionali, alla monarchia. Si votasse oggi, popolari e socialisti non avrebbero insieme neppure il 50 percento dei suffragi tanto hanno deluso gli elettori. Lo statuto federativo, che consegna importanti privilegi amministrativi alle regioni, è un tema critico ma si dovrà affrontare perché costano troppo. Perfino la monarchia è nel suo ciclo peggiore. Nel Teatro reale hanno fischiato la regina e ora i giornali scherzano perché Sofia è in vacanza da sola nella villa di Palma di Maiorca mentre suo marito non riesce a risalire nei sondaggi e suo figlio Felipe, l’erede, scalpita per guidare la “rigenerazione”. Il rettore dell’Università gesuita di Deusto, la Bocconi iberica, ha appena pubblicato un manifesto nel quale fustiga politici e istituzioni «per l’assenza di etica e di cultura democratica nella vita pubblica spagnola». «Grazie alla corruzione — scrive José Maria Guibert — siamo la coda dell’Europa come una repubblica delle banane». Così Rajoy sventola Gibilterra mentre le vere difficoltà dei prossimi tempi rischiano di essere altre.


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