Kazakhstan, tra i dissidenti che resistono a Nazarbaev

by Sergio Segio | 21 Agosto 2013 8:55

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Mi racconta l’arresto, in un’alba di gennaio 2012, con uno spiegamento tremendo. Non sa dov’è, finché la chiamano per consegnarle cappello, sciarpa, lacci delle scarpe. Un mese prima, il 16 dicembre, giorno dell’indipendenza, erano ad Almaty a deporre una corona al monumento al Zheltoksan — vuol dire dicembre — in memoria della rivolta del 1986 contro l’arroganza del Cremlino. Dalla lontana Zhanaozen arriva la notizia del massacro di lavoratori. «Sentivamo al telefono gli spari, poi hanno tagliato le comunicazioni». Kozlov potrà andarci solo dopo qualche giorno, ma sarà accusato di aver sobillato alla sovversione. E’ giornalista e leader del partito Alga, cui è stata rifiutata la registrazione. Sta scontando
7 anni e mezzo.
Lei oggi prepara il pacco. «Ora gli si vedono solo gli occhi e il naso». Il 10 agosto lui compie 53 anni. Petropavlovsk è all’altro capo, al confine con la Siberia, d’inverno scende sotto i 40 gradi. Ci sono tre voli alla settimana. “Le zanzare ci divorano alla conta della sera — le scrive — la colonia sta in una palude”. Una volta gli hanno proposto di denunciare Ablyazov, col suo tornaconto. A due coimputati, il regista Bolat Atabaev e Zhanbolat Mamay, hanno proposto di denunciare lui, Kozlov, e saranno declassati a testimoni…
“La sera — scrive — nei pochi minuti prima che tolgano la luce, mentre stiamo in piedi davanti al letto e aspettiamo il segnale, gli altri guardano le loro fotografie: e anch’io”. Legge un libro di Nurbolat Masanov sulla storia dei clan kazaki: “Non avrei mai creduto di appassionarmi tanto alla organizzazione patronimica della comunità dei nomadi”. «E’ cambiato — dice Aliya — Non i suoi principii, certo. Era uno virile, “vi voglio
bene ma ci sono le cose più importanti”, ora è pieno di emozioni, di amore, ripensa a tutto e mette al primo posto la famiglia, le persone che non tradiscono…». L’80 per cento dei detenuti non ha nessuno che li visiti. Scrive lettere per loro. Hanno potuto visitarlo alcuni ministri degli esteri e ambasciatori europei, il parlamento europeo ha votato una risoluzione. «Ci hanno confiscato tutta la proprietà, e anche quella del partito, considerata suo patrimonio personale. Io vivo in affitto, e sono costretta dalle reazioni ai controlli a cambiare casa continuamente. I suoi genitori sono in Russia, devono fare 2 mila km per visitarlo, Volodja non vuole, hanno 80 anni, la madre soffre di cuore. Dal 2002 Vladimir era stato indagato 4 volte, e messo in prigione amministrativa per 15 giorni».
Poi Aliya è partita per Petropavlovsk. E’ tornata quattro giorni dopo. «Appena arrivata mi sono precipitata al mercato per gli ultimi ingredienti, e poi con altre 18 donne a preparare i cibi, una notte intera. Il giorno dopo siamo entrate, dopo una trafila di ore. Anche qui, di corsa alla cucina interna, madri mogli sorelle, a riscaldare. Un’attesa così estenuante che mi sono assopita. Mi sveglio e me lo trovo davanti che sorride, e dice: “La mia panciona”. Mi ha chiamato così tutto il tempo, pancina, panciona. /Aliya ha un fisico da adolescente, peserà 45 chili sì e no/. Lo forzavo a mangiare. Era l’unico maschio ad aiutare in cucina, che le polpette non si bruciassero, lavare i piatti. Gli altri stavano a guardare la televisione. Io potevo andare alla finestra, mi mancava l’aria, le donne mi invidiavano. Il tempo è nemico, corre e senti che presto finirà: ti condannano in anni ma la sconti in secondi, dice Volodja. Ci si abbraccia, ognuno dissimula la pena. La prossima volta, fra tre mesi, non puoi rischiare di venire fin qua, dice. Lo farò, dico. Non devi, farò di tutto per farmi trasferire. Per la legge, dovrebbe stare in una colonia vicina a casa, non agli antipodi. Lo imploro di non fare proteste estreme. Scriverò al ministro dell’interno. Il 10 mi sono svegliata fra le urla, le finestre danno sul piazzale, c’era una parata, i carcerati devono marciare, tutte le 8 sezioni, e se la direzione trova la marcia mal eseguita la fa ripetere. Gridano uno slogan militaresco. Basta che uno sgarri, e tutta la sezione è punita nel “bicchiere”, una gabbia in cui stanno ammassati per ore. Il compleanno l’abbiamo festeggiato così, a un tavolino con polpette e focaccia. Mangio bene come a casa, ha detto. Il bambino era agitato sotto le mie mani, per festeggiare. Sotto le sue però stava fermo: non le conosceva ancora. A sera era già abituato, e scalciava anche per lui. Il giorno dopo le persone si scambiavano gli sguardi ultimi, in silenzio: chi verrà ancora, chi non verrà più?… L’hanno chiamato. Per noi donne è più facile, noi piangiamo. Se gli uomini piangessero… ». *** Il consenso di Nazarbaev non toccherà le sperticate quote elettorali (95,5 nel 2011), ma è comunque vasto. Il Kazakhstan ha sì e no 6 abitanti per km2. Quale sarà la densità di dissidenti politici? Del resto, il dissenso non è mai stato la forza capace di rovesciare i regimi: questo non gli toglie, e caso mai accresce, una nobiltà. Secondo un luogo comune il dissenso kazakistano sarebbe una maschera di intrighi e rivalità interne al potere. Ma ci sono donne e uomini coraggiosi, che pagano caro. Ai partiti viene negata la registrazione con pretesti risibili. Giornali vengono chiusi o multati, giornalisti aggrediti o sospesi. La giustizia dipende dal presidente; le critiche nei suoi confronti sono reati penali. L’incitamento «alla discordia sociale» è un delitto alla stregua di quelli connessi alla razza o alla religione. Gli oppositori che ho incontrato hanno conosciuto il carcere e la perdita della professione: e però parlano francamente. (Noi siamo stati liberi di muoverci e incontrare chi volevamo). Sono persuasi che il malcontento sociale sia largo. Il reddito famigliare medio è di 600 dollari, e 50 persone possiedono 24 miliardi di dollari. Scioperi avvengono, non solo a Zhanaozen, dove furono 5 mila e tennero duro per sette mesi, nonostanti provocazioni e assassinii. Tuttavia gli oppositori sanno contare, e alle loro manifestazioni intimidite non si superano le poche centinaia. In una lettera Kozlov scrive: «Quanto ai miei reati, alla base c’erano soltanto i volantini, benché fossero stati pubblicati su un sito ufficialmente registrato, e né la Sicurezza Nazionale né i procuratori avessero avuto niente da dire. E poi il 90 per cento dei “partecipanti” a Zhanaozen non li ricordava; un 7 per cento dichiarava di averli appena visti, e il 3 per cento di averli letti ma di averli disapprovati. Come si può far dipendere Zhanaozen dai volantini?» Che è un argomento ineccepibile quanto alla prevaricazione del tribunale, ma anche un’amara constatazione della inefficacia del proprio attivismo.
*** Zhasaral Kuanyshalin ha 64 anni, «uscii dal Pcus, ero già un dissidente sovietico», dice. E’ stato avvocato, scrittore, docente di letteratura russa. Critica Nazarbaev con una durezza mista a una confidenza, come se avessero qualcosa da spartire. Ce l’hanno: nel 2006 Kuanyshalin lo denunciò alla Corte Suprema per alto tradimento. Fu condannato a due anni, per oltraggio alla reputazione del Presidente, pena amnistiata. «Dovevano tirar fuori dai guai il genero di Nazarbaev, così restai fuori anch’io». Nel 2010 ha fatto uno sciopero della fame, sospeso al quindicesimo giorno con un ricovero per un’ulcera allo stomaco. «Che cosa volevo? Le dimissioni di Nazarbaev. Era lì da vent’anni: mi sembravano troppi vent’anni per un presidente, nel ventunesimo secolo. In fondo al cuore speravo che mi avrebbero seguito almeno cento persone.
Si unirono prima in tre poi in tutto nove. Ma non fu inutile». Perché ce l’ha tanto con Nazarbaev? E’ un usurpatore, dice, era già il primo segretario del Partito Comunista, ed era contrario all’indipendenza. Il Kazakhstan è arrivato ultimo a dichiararla. Spinge ad allinearsi
di nuovo alla Russia, ha firmato il trattato doganale che ci annette al mercato russo. «Prendi l’allungamento dell’età della pensione femminile, da 58 a 63 anni. La riforma fu proclamata da un giovane ministro, ci fu una sollevazione, si prese le uova in faccia, Nazarbaev lo dimise — fa così, sceglie un capro espiatorio — e impose lui la stessa riforma, due settimane dopo, posponendo l’entrata in vigore dal 2008 al 2014… Certo che avviene anche da voi, ma voi avete una durata della vita di 82 anni, noi di 67». A Zhanaozen Nazarbaev pretende di non aver saputo… Ci andò dopo la tragedia, disse che le richieste dei lavoratori erano legittime, e subito dopo cominciarono i processi. «Natalia Sokolova, avvocatessa del sindacato, è stata condannata a 6 anni. Mi hanno aggredito due volte, svaligiato la casa. Ma io sono nonno, è tardi per smettere ». Gli dico che mi sorprende la tranquillità drastica con cui si esprime su Nazarbaev. «Non posso essere processato due volte per lo stesso reato», replica, serio.
Fino all’indipendenza erano poche le scuole in cui si insegnasse il kazako. Il Kazakhstan ha subito due genocidi per fame, nel 1920-23, con un milione e mezzo di morti, e nel 1931-33, con 2,3 milioni. In proporzione, dice, una tragedia enorme più che in Ucraina. Pane si dice nan, è una parola sacra. Gli anziani della mia famiglia erano 18, ne sopravvissero 2. Ho imparato da loro: finito il pranzo, si raccoglievano con cura le briciole e si mangiavano. I kazaki erano l’82 per cento nel 1898, nel 1959 erano ridotti al 26. Anche questo è genocidio. All’indipendenza molti russi andarono via, succede quando crollano gli imperi. Siamo musulmani, senza fanatismi nella nostra storia. Nell’ultimo tempo abbiamo visto arrivare salafismo, wahhabismo eccetera. Ma gli terremo testa».
«Sai come si dice uomo in kazako? Adam, come nella Scrittura. Siamo tutti esseri umani, fratelli». E Eva? — chiedo. Resta un momento perplesso, poi si illumina: «Se domandi a un kazako dov’è il paradiso, ti risponde: Sotto i piedi di tua madre. E diciamo anche: puoi portare tre volte tua madre sulle spalle attorno al mondo, non ripagherai mai il tuo debito».

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