Israele allarga le colonie, l’ira dei palestinesi

by Sergio Segio | 14 Agosto 2013 6:39

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LA COSTRUZIONE di 890 case nuove di zecca per coloni sulle terre palestinesi occupate di Gerusalemme Est sono l’ultima doccia fredda somministrata dal governo d’Israele per stemperare ogni eventuale entusiasmo verso la ripresa del negoziato di pace previsto oggi a Gerico. L’autorizzazione, dapprima segreta, è stata confermata giusto ieri dal ministero degli Interni: erano trascorse a malapena 24 ore dall’annuncioshock di altre 1200 abitazioni israeliane nella parte araba della Città santa e in Cisgiordania. Ai palestinesi non resta che riformulare il disappunto della vigilia, e presagire un precoce naufragio dell’accordo: «Questa espansione delle colonie è senza precedenti: rischia di provocare il collasso dei negoziati prima che essi inizino », avvisa Yasser Abed Rabbo del comitato esecutivo dell’Olp.
Ne fa le spese anche John Kerry, il Segretario di Stato americano, dopo mesi trascorsi nel persuadere palestinesi e israeliani a tornare al tavolo delle trattative abbandonato tre anni fa per l’appunto sulla questione delle colonie. Kerry sulle prime minimizza: la notizia «entro certi limiti era attesa, infatti sapevamo che sarebbe continuata “qualche” costruzione in “certi” posti». Però, ammette che l’annuncio «ha forse superato le aspettative», e castiga a patanyahu: Israele: «Le colonie sono illegali ». Tuttavia il Segretario invita l’Autorità palestinese a non farne «un ostacolo», e a «tornare al più presto al tavolo», affrontando innanzitutto «i problemi della sicurezza e delle frontiere». Alla luce delle «questioni più importanti», si barcamena, i nodi che oggi sembrano «scottanti», come le colonie, appariranno di più semplice soluzione.
È ben più diretto, invece, il messaggio che Kerry consegna dietro le quinte al premier israeliano Netanyahu il fallimento dei colloqui di pace – gli manda a dire – esporrebbe Israele a un campagna internazionale di delegittimazione “all’ennesima potenza”.
In quest’aria di sfiducia la liberazione di un primo gruppo di 26 palestinesi prigionieri da lunga data – incarcerati prima degli accordi di Oslo 20 anni fa – è occasione di festa ufficiale in Cisgiordania. Il gesto è stato voluto dall’Amministrazione Obama come incentivo al negoziato. Il presidente Abu Mazen ordina pubbliche cerrimonie di accoglienza. Ma questo non basta a scaldare la piazza, scettica verso la nuova tornata di colloqui. «Per due anni la leadership è andata predicando che mai avrebbe accettato nuove trattative se l’attività degli insediamenti fosse proseguita», dice Zakaria al-Qaq, docente all’Università Al-Quds di Gerusalemme Est. «Eppure i leader ora sono di colpo sordi e muti». È anche probabile che siano a corto di strumenti negoziali. La leadership palestinese ha già rinunciato a molte carte in 20 anni. Lo rivelarono nel 2011 le minute delle conversazioni fra i negoziatori, contenute nelle “Palestine Papers”: 1600 documenti trafugati dall’ufficio dell’eterno capo-negoziatore Saeb Erekat. Si venne a sapere che l’Autorità palestinese aveva promesso in segreto a Israele, fra l’altro, la colonia di Gilo a Gerusalemme Est: è proprio la stessa dove sono previste le 890 nuove costruzioni. Perciò non stupisce che molti, come al-Qaq, parlino di un negoziato «in cui pochi credono».

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