by Sergio Segio | 19 Agosto 2013 7:06
È dell’altro ieri l’elogio di Napolitano ai bagnanti di Pachino, trasformatisi in catena umana per soccorrere 160 migranti in fuga dall’ecatombe siriana. Peccato che nel frattempo perfino la ministra Kyenge sia ricaduta nell’improbabile corsa al pronostico su quanti nuovi immigrati in Italia possano essere generati dal putsch militare con cui al Cairo è stato liquidato il governo dei Fratelli Musulmani. Per la verità la titolare del ministero dell’Integrazione si è limitata a prevedere genericamente “un’impennata” di arrivi dall’Egitto, cui dovremo fare fronte attrezzandoci con strutture adeguate. Tanto è bastato perché Matteo Salvini, ovvero uno dei più stretti collaboratori del segretario leghista Maroni, la invitasse a lasciare l’Italia, cioè la nazione di cui Kyenge è a pieno titolo cittadina, naturalmente per fare la ministra sotto le piramidi.
Non è tanto il monotono brontolio di un Salvini a preoccupare – piacerebbe anzi che lo promuovesse davvero, il minacciato referendum anti-Kyenge, per misurarne l’entità numerica – quanto invece il riflesso condizionato da pensiero unico: rivolte, repressione e guerre sulla sponda Sud del Mediterraneo = proclamazione dello stato d’assedio sulla sponda Nord dello stesso mare.
Tornano alla memoria le cifre sparate a casaccio nel corso della primavera 2011, quando le rivolte provocavano la caduta dei rais in Tunisia e in Egitto, col seguito della guerra di Libia. Ci furono allora ministri italiani disposti a fornire le cifre più pazzesche, ricavate da chissà quali consulenti cialtroni: sbarcheranno a milioni, i famigerati “clandestini”; con alla testa i criminali evasi dalle carceri e i terroristi islamici… Quando ormai il fenomeno assumeva contorni più chiari, l’allora responsabile dell’ordine pubblico ridimensionò la previsione, da milioni a trecentomila prossimi arrivi. Trecentomila equivarrebbe più o meno alla cifra annua di nuovi arrivi stranieri sul territorio italiano (prima della lunga recessione, ora sono diminuiti). Ma la verità statistica certificata
è che al termine di quel fatidico 2011 gli sbarchi dei fuggiaschi dal Nord Africa furono contabilizzati in meno di trentamila. Dieci volte meno della previsione del ministro dell’Interno.
Anziché fantasticare su cifre improbabili, dunque, il governo farebbe bene a formulare in tempo utile proposte articolate d’intervento nelle aree di crisi a noi così prossime (oggi sono in fiamme, ma è difficile immaginare una ripresa economica dell’Italia che non le veda direttamente coinvolte). E a tradurre la necessaria opera di integrazione e naturalizzazione dei cittadini stranieri residenti sul nostro territorio in modifiche operative della vecchia legge Bossi-Fini (bastano i due nomi per segnalarne l’anacronismo), così come ha finalmente preannunciato ieri il ministro Kyenge.
Lo stesso Pdl, emancipandosi dal ricatto dell’alleato leghista, potrebbe cogliere l’occasione per allinearsi sulle posizioni assai meno retrive della destra europea. Si prenda atto che è fallito il disegno di usare i dittatori per tenere soggiogati popoli nostri vicini, cui ci lega sempre più un destino comune. Lo stesso mutato atteggiamento della Chiesa cattolica sui temi dell’identità cristiana e della relazione con l’Islam escludono che da Roma possa giungere una legittimazione anche solo indiretta a pseudocrociate contro i Fratelli Musulmani.
Quanto alla polemica sull’introduzione dello ius soli— cioè sul diritto alla cittadinanza italiana per i figli di stranieri residenti sul nostro territorio, qualora siano nati qui o vi abbiano completato l’istruzione obbligatoria — bisognerà sfuggire alle trappole ideologiche. Nessuno, a cominciare dalla ministra Kyenge, propone la generica accettazione di un principio generale qual è lo ius soli.
Il governo ha già perso troppo tempo in annunci e ha tutti gli strumenti per sottoporre al Parlamento una normativa articolata, finalizzata all’integrazione e al rafforzamento di un senso di comunità che non può fondarsi certo sull’appartenenza etnica. Il diritto di cittadinanza in Italia è spaventosamente in ritardo sulla realtà, si tratta di aggiornarlo nei tempi brevi che la storia ci sta dettando.
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