IL RICHIAMO DELLE COLOMBE

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Si sta in altre parole usando ad arte un argomento, quello dell’emergenza, che è diventato familiare in questi ultimi anni, impiegato per far fronte a calamità naturali ma anche per far digerire scelte politiche ostiche, siglare alleanze innaturali e ora, alcuni sperano, per sollevare il leader del Pdl dai guai giudiziari dei quali lui solo è responsabile (guai rispetto ai quali i cittadini italiani, ovvero lo Stato, sono i soli danneggiati). Si sta facendo strada in questi giorni il tentativo pericoloso di convincere l’opinione che si può utilizzare l’argomento dell’emergenza e aprire un fronte di trattativa con l’alleato di governo, dopo aver constatato che probabilmente il Quirinale non dà sufficienti garanzie. Per questa ragione alcuni esponenti del Pdl, quelli che vengono definiti “colombe”, si sono prodigati a suggerire tattiche machiavelliche, strade che portano direttamente al Pd per incalzarlo con la minaccia dell’instabilità di governo — confidando sul fatto che si continui a pensare che a questa alleanza non ci sia alternativa.
Il monito venuto qualche giorno fa dal ministro Gaetano Quagliarello va in questa direzione: se non si può fare completo affidamento sul Quirinale («non basta Napolitano a blindare il governo») allora è necessario aprire una trattativa politica diretta con il partner di governo al fine di «chiarire e approfondire» molte cose nell’«interesse di tutti». «Non per sottrarsi alla deliberazione – prosegue il ministro – ma perché essa non abbia esiti predeterminati e avvenga con ogni cognizione di causa, senza dare nulla per scontato, vista la delicatezza della vicenda e le conseguenze politiche ». L’appello alla mente sgombra da pregiudizi è fatto al fine di portare nella trattativa quell’oggetto “delicato” che è, appunto, il salvataggio di Berlusconi. Il fatto è che, contrariamente alla rappresentazione che ne dà il ministro, gli esiti sonoin questo “predeterminati” e la mente non può essere sgombra dal dato certo di una condanna ottenuta secondo regole di giustizia. Circa la “cognizioni di causa” alla quale il ministro si riferisce, si tratta di un argomento che intende mettere sul piatto della bilancia il rischio di instabilità che l’eventuale decadenza di Berlusconi da senatore potrebbe avere sulla maggioranza e sul governo. Ci sono, come si vede, tutti gli ingredienti per trasformare la condanna in terzo grado di Berlusconi in un argomento emergenziale da portare in trattativa con il Pd per ridiscutere l’alleanza di governo.
Dalla dimensione istituzionale a quella della mediazione politica – tutte le strade sono in fase di esplorazione in casa Pdl. Da un lato si punta su un appesantimento, fino alla sua gravissima violazione, dello stato di diritto (come diceva molto bene Liana Milella su Repubblica); dall’altro si sfodera l’arma dell’emergenza e della trattativa politica. Il Pd è chiamato direttamente in causa come partner della mediazione grazie alla quale avviare quella “trattativa” che, se davvero si avviasse, porterebbe a uno strappo pauroso della legge e della democrazia costituzionale. Questo delle “colombe” è quindi il piano strategico più temibile, poiché cerca di insinuare nel discorso politico ordinario l’idea che il danno della decadenza di Berlusconi sia molto maggiore del beneficio che viene dal rispettare la legge. Le conseguenze – ci viene detto – sarebbero così esorbitanti da giustificare la trattativa: ecco il senso della «delicatezza della vicenda e le conseguenze politiche» di cui parla Quagliariello. Ci sarà un partito della trattativa?
La vicenda Berlusconi, per chi crede nello stato di diritto, non è per nulla delicata ma normalissima perché già risolta dai tribunali e secondo le regole di giustizia. Sarebbe tragico se il Pd entrasse in questo ordine di idee. La sua delegittimazione sarebbe fatale. E i costi sarebbero altissimi anche per lo Stato. Infatti, anche solo l’eventualità di un’apertura ipotetica nei confronti della strategia della trattativa provocherebbe un logoramento fatale della legittimità con un danno gravissimo, prima di tutto al Paese, poiché indurrebbe cittadini ed elettori a concludere che anche questo partito ha un rapporto compromissorio con la legge, dando quindi ossigeno all’ideologia dell’anti-politica per cui “i partiti sono tutti uguali”. Da un’eventuale e anche solo ipotetica strada della trattativa sia lo Stato che il Pd ne uscirebbero a pezzi. Solo la linea dell’intransigenza può rafforzare il partito e la fiducia dei cittadini nelle istituzioni ribadendo con i fatti che sul principio dell’eguaglianza della legge non si tratta. Come si vuole mettere la prima parte della Costituzione al riparo da ogni tentativo di revisione così la si deve voler mettere al riparo dalla nefasta idea di piegare la clausola dell’eguaglianza della legge alle convenienze di un cittadino condannato giustamente, non importa quanto potente. Ascoltare le “colombe” del Pdl sarebbe disastroso. Uno strappo al principio costituzionale che si rivelerebbe una strada di non ritorno poiché ogni cittadino potente potrebbe, da quel momento, invocare questo precedente e indurre lo Stato ad abbassare la testa al peso ricattatorio di un qualche potente di turno. Non ci sarebbe cioè mai fine alla trattativa, all’eccezione e all’emergenza. Il caso Berlusconi è quindi gravissimo e c’è solo e soltanto un modo per affrontarlo bene: lasciare che la legge faccia il suo corso. Le costituzioni sono state scritte prevedendo situazioni come quella che stiamo vivendo: scritte dai popoli in una condizione di saggezza e pensando a come proteggere la loro eguale libertà nel caso che, un domani, qualcuno potesse sragionare.


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ROMA — Chissà quante volte l’avrà chiesto a Berlusconi in questi giorni, e chissà quante volte ancora dovrà chiederglielo: «Non c’è solo la legge elettorale, ci sono anche le altre cose. Voi ci state, vero?».

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