by Sergio Segio | 4 Agosto 2013 6:53
ROMA — Giornata decisiva, oggi, per le sorti del governo di larghe intese, appeso a quanto potrà avvenire al sit in del Pdl a sostegno di Silvio Berlusconi. Che sia il turning point lo si è intuito ieri, quando i vertici del Pdl hanno deciso di spostare il luogo della manifestazione, da piazza Santi apostoli a via del Plebiscito, davanti alla residenza romana del Cavaliere. E il motivo di tale decisione, fanno sapere in via ufficiosa, è intuibile: evitare che qualcuno sia tentato di andare a protestare sotto il Quirinale (distante poche centinaia di metri), facendo degenerare una situazione già al limite della rottura. «La nostra fortissima indignazione non sfocerà in rabbia né in comportamenti non consoni alla nostra tradizione moderata», garantisce Renato Schifani. Non solo. Berlusconi ci sarà, dicono i suoi. Nessuno dei cinque ministri, compreso Angelino Alfano (che è il segretario del Pdl) sarà invece presente. «Per evitare strumentalizzazioni», chiarisce Maurizio Lupi (Infrastrutture). Si dice che a questa soluzione si sia giunti dopo un giro di contatti tra Quirinale, Palazzo Chigi e Palazzo Grazioli. E così lo scopo del sit in è esprimere solidarietà a Berlusconi e sollevare il tema della riforma della giustizia. Lo dice esplicitamente Osvaldo Napoli: «Il presidente Napolitano si è espresso con esemplare chiarezza. Ha invocato la riforma della giustizia e ha investito di questo compito Parlamento e governo. Contro si è espresso il fascistello Beppe Grillo, a favore il Pdl e Scelta civica. Il Pd traccheggia. Ora è al governo che il Pdl si rivolge per chiedere al presidente Letta di aggiornare la sua agenda inserendovi in bella evidenza il tema giustizia». Alla vigilia del presidio, però, si è arrivati vicinissimo al punto di rottura. Di prima mattina, Sandro Bondi diffonde una nota di fuoco. «O la politica è capace – scrive – di trovare soluzioni capaci di ripristinare un normale equilibrio di poteri dello Stato e nello stesso tempo rendere possibile l’agibilità politica del leader del maggiore partito italiano oppure l’Italia rischia davvero una forma di guerra civile dagli esiti imprevedibili per tutti». Parole che suscitano reazioni indispettite non solo a sinistra (per Stefano Fassina del Pd sono «al limite dell’eversione») ma anche all’interno del Pdl. Gianfranco Rotondi esce allo scoperto: «Cessiamo l’inutile gara a chi è più berlusconiano. Saremo tutti in piazza e il Pdl deve chiedere con una sola voce una soluzione non ordinaria per consentire a milioni di italiani di essere pienamente rappresentati in Parlamento e nella vita politica dall’uomo che hanno costantemente votato per venti anni». Insomma, se si sta lavorando a «una soluzione non ordinaria», come del resto ha sostenuto venerdì Renato Schifani (assieme a Renato Brunetta) annunciando l’intenzione di chiedere un intervento del Quirinale, le parole di Bondi sono addirittura controproducenti. E infatti il Quirinale le giudica «irresponsabili». Bondi, a sua volta, replica con stizza: «Non mi faccio chiudere la bocca e non accetto di essere indicato come un irresponsabile».
È evidente che il cerino gettato da Bondi rischia di incendiare la prateria. Ma Schifani corre ai ripari: respinge le «accuse di avventurismo» lanciate da Pier Luigi Bersani al Pdl, conferma il giudizio secondo cui Berlusconi «ha subito una grave ingiustizia» e soprattutto cerca di ridimensionare la sortita di Bondi a una presa di posizione «dura ma non improntata a intenzioni o finalità irresponsabili».
Lorenzo Fuccaro
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