Il premier adesso avverte gli alleati “Posso essere io a staccare la spina”
ROMA — Non farsi logorare significa che da ieri sera Enrico Letta pensa a una via d’uscita, valuta «le condizioni di tenuta della maggioranza. Se non ci sono, sarò io a staccare la spina prima che il caos mi travolga». Il premier si prepara a incontrare Giorgio Napolitano domenica al Quirinale, dopo i contatti telefonici con la Val Pusteria. Il patto con il presidente della Repubblica rimane solido, ma assieme al capo dello Stato, Letta dovrà pesare la fase nuova che ha di fronte l’esecutivo. L’incontro potrebbe fare seguito alla visita al Quirinale dei capigruppo Pdl con l’incredibile e provocatoria richiesta di grazia per Berlusconi. «Il logoramento del governo è cominciato e può saltare tutto — ragiona Letta con i suoi collaboratori — . Vediamo gli atti concreti del Pdl e come reagisce il Pd». Se Berlusconi giocherà con la pelle dell’esecutivo e i democratici non reggeranno, com’è logico, la sfida alle istituzioni, sarà Letta a sfilarsi.
A Palazzo Chigi si pensa ormai alla crisi di governo e al voto anticipato. Ipotesi sciagurata perché «stavamo raccogliendo i frutti del lavoro fatto finora in continuità con il governo Monti », dice Letta. E perché, precisa parlando ai parlamentari di Scelta civica, «il semestre di presidenza italiana della Ue sarà importante quanto quello del 1990, che preparò la strada all’accordo di Maastricht». Ma spingersi troppo in là con i programmi di governo diventa, oggi, quasi un’utopia. Però Letta guarda al futuro, eccome. Anche nella chiave di una crisi vicina. Non si vede fuori dalla partita per la corsa, stavolta certificata dagli elettori, per la premiership. «Ci penseremo», dicono i suoi collaboratori. C’è Matteo Renzi già in pista per le primarie? Letta potrebbe sfidare anche il sindaco di Firenze. Con tutte le cautele del caso. «Non vuole diventare lo strumento di un pezzo del partito contro Matteo. Non è questo il suo profilo», chiarisce un deputato lettiano. Ma non si tirerà indietro, convinto che una larga parte dell’opinione pubblica abbia apprezzato gli sforzi del governo e i suoi primi risultati.
Il Piano A resta quello di proseguire con le larghe intese e con le riforme dei 18 mesi. Il premier però deve prendere atto che i “pompieri” del Pdl sono impotenti davanti al capo condannato in via definitiva per frode fiscale. Dalla riunione del Pdl Angelino Alfano ha mandato molti sms a Palazzo Chigi. Garantendo inizialmente un intervento soft del Cavaliere. Piegandosi poi alla realtà: «Stiamo superando il punto di rottura», è stato il suo messaggino finale. Quello è il fronte davvero logorante per la maggioranza. Ma Alfano ha dato la colpa anche al Pd. «Berlusconi ha fatto tutto quello che
gli è stato chiesto — ha spiegato il vicepremier a Letta —. Poteva trascinare l’Italia al voto e trasformarla come la Grecia. Poi Epifani e Bersani lo attaccano in quel modo…». Il segretario e l’ex segretario del Pd spiegano la loro mossa come un “regalo” al premier. «Non possiamo solo subire, aspettare in silenzio la risposta di Berlusconi, sennò il nostro popolo ci sbrana. E se la risposta è incendiaria? Esplode il Pd. Devi lasciare un margine di manovra al partito, Enrico».
L’incendio in effetti è scoppiato e Letta ha scoperto di essere tra due fuochi. Compreso quello del Pd, dove l’accelerazione della crisi ha fatto saltare gli equilibri già molto fragili.
Bersani ha fatto capire di essere favorevole alla caduta del governo. E i bersaniani punterebbero alle elezioni anticipate con il progetto di tenere le redini del partito lasciando a Renzi la corsa per Palazzo Chigi. Una linea che qualche “ambasciatore” ha proposto al sindaco ricevendo in cambio un secco no: «Nessun patto. Semmai accorciamo i tempi per le primarie e chi fa il segretario è anche il candidato premier». Sono queste le condizioni per andare avanti? È la domanda che aleggia a Palazzo Chigi. Alla quale Letta continua ad offrire una sola risposta: «So solo una cosa: non mi farò logorare».
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