by Sergio Segio | 15 Agosto 2013 8:41
Non si tratta solo dello sdegno morale nel verificare come il centrodestra italiano ricorra senza pudore alla mobilitazione del suo popolo nel nome di un uomo che, in quanto legittimo rappresentante di milioni di elettori, invoca la sospensione arbitraria della Legge uguale per tutti. È una pericolosissima alterazione della democrazia – il rappresentante del popolo non rappresenta gli interessi di chi lo ha votato, ma sfrutta l’elezione per cancellare i propri comportamenti illeciti. Ma la posta in gioco è anche un’altra. Essa investe il problema della “responsabilità” poiché è nel nome della “responsabilità” che gran parte del Pd sopporta l’alleanza anomala con il Pdl.
In questo caso il rischio è che la responsabilità scivoli inesorabilmente verso il sacrificio di sé che anima quello che Freud definirebbe come “masochismo morale”. In altre parole, credo si debba fare attenzione a non trasformare la categoria di responsabilità in una sorta di dio oscuro al quale sacrificare la propria identità. Siamo sicuri che non si manifesti qui una sorta di malattia storica della sinistra italiana che è quella di un “masochismo morale” che trasforma tutte le possibilità di affermazione in sconfitte sicure? Non è accaduto anche nelle ultime elezioni con l’iniziativa sciagurata di Ingroia e Di Pietro che hanno tolto voti decisivi ad un centrosinistra che aveva a sua volta scelto come potenziale premier il candidato più debole?
Il problema è serio e decisivo: come evitare che la categoria di responsabilità finisca per alimentare una versione solo sacrificale dell’impegno politico che rende impossibile la visione, lo slancio vitale, l’entusiasmo della militanza – il “pensiero lungo” con il quale Gramsci e Berlinguer definivano la vocazione politica come vocazione trasformativa della realtà – schiacciando tutto sull’urgenza del presente che, come un drago spietato, divora ed evacua ogni desiderio per un’altra vita, per un’altra Italia, per un’altra comunità possibile?
Prendiamo le cose dal loro lato più semplice. Cosa sarebbe “responsabilità” se non sforzarsi di tradurre in atti le proprie parole? Perché ci troviamo ancora dopo vent’anni a mantenere al centro del dibattito politico in Italia la figura di Silvio Berlusconi quando la sinistra ha sempre parlato e denunciato questo fenomeno come il risultato di un’anomalia patologica? In nome degli interessi dell’Italia si chiudono gli occhi e le orecchie di fronte alle cantilene raccapriccianti di un centrodestra che minaccia crisi di governo e “guerra civile” se al suo leader (già condannato e probabilmente in procinto di esserlo ancora) non sarò restituita la possibilità di agire politicamente, che invocano la grazia, che affermano che la condanna di Berlusconi equivale alla condanna dei milioni di italiani che lo hanno votato. Come si possono ignorare parole così pesanti? Forse è lo psicoanalista che parla in me che mi spinge a sottolineare quest’aspetto perché nella nostra pratica le parole acquistano un peso decisivo; si potrebbe anche dire che il lavoro dello psicoanalista esiste solo per dare peso alle parole.
Ogni cambiamento implica una sospensione della figura sacrificale e ottusamente masochistica della responsabilità; implica un salto, una discontinuità,
una apertura imprevista. Questa sospensione può generare paura, atteggiamenti regressivi, rifiuto del cambiamento. Meglio un paese imbottigliato nell’infinito scontro Berlusconi-Pd che un nuovo imprevedibile? Il problema è che prima ancora della condanna di Berlusconi è la realtà della crisi economica che mostra l’insostenibilità della nostra condizione ed impone che vi sia un profondo cambiamento. Da questo punto di vista i calcoli ragionieristici dei vertici del Pd sulla data del congresso appaiono come prigionieri di una logica mortifera destinata a preservare l’esistente di fronte all’esigenza di rinnovamento che sorge dal nostro paese: che si volti pagina, che le parole siano legate ai fatti, che l’Italia possa davvero essere un paese normale, che non si abbia paura di cambiare, di assumere sino in fondo le conseguenze delle parole. Le “larghe intese” autentiche non vanno cercate in Parlamento, ma nel Paese. Non era questo l’obiettivo con il quale Matteo Renzi – capace di raccogliere attorno a sé istanze e popoli diversi – si voleva candidare a Palazzo Chigi? Non è quello che potrebbe accadere prossimamente se il masochismo morale della sinistra non si
mettesse di mezzo?
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