Il leader e l’ipotesi dei servizi sociali

by Sergio Segio | 4 Agosto 2013 7:14

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MILANO — Chiedere l’affidamento ai servizi sociali, magari a un istituto religioso, come quello di Suor Silviana, la zia Bice che lo consigliava nei momenti difficili. Oppure no: «Andare in carcere». Da giovedì, giorno del giudizio, si cerca di capire cosa farà Silvio Berlusconi. In carcere non ci andrà, in virtù dei suoi 76 anni e della legge «svuotacarceri». Entro metà ottobre dovrà però scegliere come scontare l’anno di pena (gli altri tre sono coperti da indulto): domiciliari o affidamento in prova ai servizi sociali.
«Perché se poi mi affidassero ai servizi sociali, il massimo che potrei fare sarebbe andare di sera per strada a spiegare alle signorine che devono cambiare vita», era la frase che i retroscena gli attribuivano alla vigilia dell’udienza in Cassazione. Nonostante il momento drammatico, non aveva perso il senso dell’ironia per ribadire, come ha fatto anche in un’intervista a Libero, che non accetterà «di essere affidato ai servizi sociali, come un criminale che deve essere rieducato». Eppure tra i domiciliari, che prevedono la permanenza in casa salvo particolari permessi, e l’affidamento ai servizi sociali, «quest’ultimo ha obblighi sicuramente più lievi, che il magistrato può modulare con maggiore flessibilità», assicura l’avvocato Corrado Limentani, esperto di esecuzione penale.
Se Berlusconi facesse richiesta di affidamento, e se il Tribunale di Sorveglianza lo accordasse, «dovrebbe vedere periodicamente gli assistenti sociali a cui è affidato, potrebbe subire il divieto di uscire dalla provincia di residenza senza permessi o di frequentare certi luoghi o certe persone, come i pregiudicati. Avrebbe però buona parte della giornata a disposizione (solitamente si va dalle 7 fino alle 22 o 23, dopodiché potrebbero arrivare i carabinieri a controllare che sia effettivamente in casa) per muoversi e lavorare, sempre che il magistrato non riscontri rischi di reiterazione del reato». E soprattutto «potrebbe continuare a fare politica», spiega l’avvocato: anche restando presidente del suo partito, sia esso il Pdl o la prossima Forza Italia.
E a sentire gli esperti della materia, anche se chiedesse l’affidamento, non è scontato che nel futuro prossimo vedremo il Cavaliere impegnato nel volontariato o nel sociale, come abbiamo visto Cesare Previti, nel 2007, quando gli restavano da scontare un anno e 7 mesi, offrire consulenza legale gratuita a tossicodipendenti ed emarginati con il Ceis di Don Mario Picchi; o come Lele Mora, che presta servizio per Exodus di Don Mazzi.
«Un avvocato avveduto, di solito, consiglia al proprio assistito di fare attività di volontariato: la solidarietà come dimostrazione che si vuole risarcire la comunità», commenta Gianluca Maris, legale che ha seguito Mora e Fabrizio Corona. Ma non è necessario: «È obbligatorio riparare il danno procurato alla vittima, ma in questo caso può essere risolto economicamente. E le necessità dell’attività politica di un leader di partito potrebbero giustificare ampi margini di movimento e libertà». Corona ottenne, quasi un anno fa, il permesso di rientrare anche all’una di notte: era il suo lavoro, nella sua società in corso Como a Milano, a richiederlo (poi la misura fu revocata).
Berlusconi, insomma, potrebbe avere tutti i requisiti perché i magistrati concedano l’affidamento in prova anche senza attività di volontariato. Il termine per la richiesta è il 16 ottobre, poi ci vorrà qualche mese per la decisione del Tribunale di Sorveglianza. Se no, per lui, scatteranno i domiciliari.
Renato Benedetto

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