Il Cavaliere non ci sta: siano responsabili Non possono impedirmi di fare politica

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ROMA — «Sarebbe disdicevole se il governo cadesse,ma naturalmente non siamo disponibili a mandare avanti un governo se la sinistra dovesse intervenire su di me, sul leader del Pdl, impedendogli di fare politica». Silvio Berlusconi rompe di nuovo il silenzio e lancia un avvertimento al Pd: se mi votate contro nella giunta del Senato come si fa a stare assieme? Il Cavaliere, dopo l’intervista dell’altro giorno, mostra di nuovo il volto dell’arme perché, come fanno notare dall’inner circle, teme che gli verrà tesa una trappola il 9 settembre, quando appunto si riunirà l’organismo che dovrà decidere della sua decadenza. Questa preoccupazione, racconta chi lo ha sentito durante il lungo vertice ieri a Roma con Gianni Letta, Alfano, Cicchitto ei capigruppo Schifani e Brunetta, ha preso in lui il sopravvento dopo avere esaminato «l’atteggiamento rigido del Pd e dello stesso Enrico Letta e la nomina dei nuovi quattro senatori a vita, tutti appartenenti alla sinistra». In quelle mosse Berlusconi ha colto un presagio negativo nei suoi confronti. Ed è per questo che, dopo avere tergiversato, ha finito con l’accettare la richiesta di collegarsi telefonicamente con Bassano del Grappa a una riunione dell’«esercito di Silvio». Ed è partito all’attacco. «Qualcuno — afferma — mi ha detto: immaginiamoci cosa sarebbe successo nel 1948 se la Dc avesse tolto Togliatti al Pci o se il Pci avesse tolto la possibilità di fare politica a De Gasperi, sarebbe scoppiata la guerra civile». Nel discorso dell’ex premier, tuttavia, compare l’auspicio (lievissimo, in verità) di un ripensamento da parte del Pd. «Noi — dice — speriamo che questo governo vada avanti, spero che i signori del Pd, aldilà delle dichiarazioni che sentiamo, abbiano senso di responsabilità e decidano in modo democratico. Staremo a vedere se questo accadrà». Ma dal Pd replica il ministro Dario Franceschini: «Il ricatto di Berlusconi va respinto al mittente. Non violeremo mai le regole dello stato di diritto per allungare la durata del governo».
L’ex premier, insomma, nutre un’illusione dettata da una residua professione di fiducia verso l’alleato di governo. Ricorda infatti i motivi per cui è nato l’esecutivo di larghe intese. «Quel governo — sostiene — noi lo chiamammo di pacificazione per vedere se si potesse mettere fine alla guerra civile, quella guerra fredda partita nel ‘48. Invece, avete visto quello che è successo, siamo ancora in mezzo al guado». Ma comunque, gli riconosce di «avere fatto varie cose buone, come l’abolizione dell’Imu».
Tuttavia, nonostante questo «atto di responsabilità» da lui compiuto verso il Paese, Berlusconi è convinto che sia ripresa la caccia contro lui. Ripete che c’è un piano per farlo fuori politicamente «attraverso misure giudiziarie che nulla hanno a che vedere con la democrazia: si cerca di togliere di mezzo il sottoscritto che per vent’anni è stato considerato ed è ancora considerato un ostacolo insormontabile dalla sinistra per ottenere il potere». Il Cavaliere torna ad agitare temi a lui cari. Sostiene che la battaglia per la giustizia è una priorità. E annuncia, in questo contesto, che il Pdl affiancherà i radicali nella campagna per raccogliere le 500 mila firme a sostegno di sei referendum sulla giustizia: «Allestiamo i gazebo e attraverso il voto popolare cerchiamo di realizzare quella riforma di giustizia che i vari Fini, Follini e Casini mi hanno impedito di fare in Parlamento». I quesiti riguardano la responsabilità civile dei magistrati, la separazione delle carriere, i magistrati fuori ruolo, la custodia cautelare e l’ergastolo. Lui stesso, in giornata, si recherà a firmarli, probabilmente a Roma. Un scelta quella di sostenere la sforzo dei radicali resa ufficiale dopo l’incontro avuto ieri con Marco Pannella. Il quale, scherzando, gli avrebbe detto: «Firmali e poi scappa all’estero, come ha fatto Toni Negri».
Lorenzo Fuccaro


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ROMA — «Allora, Angelino, torna a Roma e avvertili che se il Pd non mi dà risposte, voi ministri vi dovete dimettere. Se non succede nulla di nuovo, per me il governo deve cadere prima che si voti in giunta». Qualche ora prima, alle 9, Angelino Alfano era a Palermo, in via Isidoro Carini.

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