I piani del generale Dempsey: cinque opzioni (tutte costose)

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La contabilità in dollari gli permette di mettere in evidenza i costi strategici, «le conseguenze inaspettate delle nostre azioni»: «Negli ultimi dieci anni abbiamo imparato che non si può alterare l’equilibrio delle forze in campo senza tenere in considerazione come preservare uno Stato funzionante». E’ la lezione dell’Iraq.
Dempsey ipotizza per primo uno scenario limitato: consiglieri che addestrano i ribelli, passano loro informazioni di intelligence, li aiutano a coordinare gli attacchi (costo: 500 milioni di dollari l’anno). E’ quello che le forze speciali americane starebbero già facendo dalla base bunker appena inaugurata ad Amman. E’ un quartier generale avanzato del Centcom, pensato non solo per il caos siriano. Secondo il sito israeliano Debka — talvolta ben informato — da qui si muoverebbero i 3.000 ribelli preparati a creare una zona cuscinetto a Sud, dal confine giordano fino alla capitale Damasco.
Degli altri possibili piani, Dempsey enfatizza i costi in crescita: dai bombardamenti limitati di caserme e difese antiaeree del regime (svariati miliardi di dollari) all’imposizione di una no-fly zone (un miliardo di dollari al mese per almeno un anno). E’ l’ipotesi sostenuta dal senatore repubblicano John McCain, che da mesi pungola il presidente Barack Obama: «Non c’è bisogno di soldati sul terreno, gli israeliani hanno dimostrato con i loro raid che i cieli siriani sono penetrabili». Dempsey precisa — e come lui ne sono convinti gli esperti militari — che la no fly-zone non vuole dire zero truppe in Siria: potrebbero diventare necessarie, anche solo per recuperare un pilota di jet che si sia paracadutato dopo essere stato colpito.
Nelle mappe preparate dal generale anche la creazione di aree protette al confine con la Turchia o la Giordania non prevede la presenza di truppe americane dentro il Paese: «Bisognerebbe comunque dispiegare migliaia di soldati per sostenere i ribelli che agiscono contro il regime. Il rischio è che queste zone diventino anche una base sicura per gli estremisti, da dove lanciare i loro attacchi».
Il numero dei militari da usare (questa volta in Siria e non solo le forze speciali) cresce ancora di più per il piano che prevede la distruzione o la conquista dei depositi di armi chimiche. L’uso di agenti tossici è la linea rossa fissata da Obama per l’intervento militare. La Casa Bianca — dopo i video diffusi mercoledì dall’opposizione che mostrano le vittime di un presunto bombardamento con i gas da parte del regime — ripete di voler aspettare prove concrete. Dempsey avverte che l’operazione — la più rischiosa e la più costosa — non garantirebbe il controllo di tutti gli armamenti non convenzionali.
Il generale ricorda che la decisione di intervenire è politica e in un’altra lettera di pochi giorni fa (al deputato democratico Eliot Engel) spiega e giustifica quanto poco il presidente abbia voglia di prenderla: l’amministrazione — scrive — si oppone a un’azione anche limitata perché è convinta che i ribelli, se dovessero sconfiggere Bashar Assad e andare al potere, non sosterrebbero gli interessi americani.
Davide Frattini


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