I mali Comuni

by Sergio Segio | 2 Agosto 2013 6:31

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Ci sono spazzini con la fascia tricolore, pecore che brucano nelle aiuole per risparmiare il tagliaerba, eserciti di genitori che imbiancano le aule scolastiche. C’è addirittura il sindaco di un paese dell’hinterland milanese che si dice «costretta a risparmiare sulla mandopera che allestisce le tombe». Anche morire diventa un lusso. Le Detroit d’Italia sono 52, abbastanza equamente distribuite tra Nord e Sud: dopo anni di inutili e fantasiosi tentativi di risalire la china, hanno gettato la spugna, hanno fatto bancarotta. Con i sindaci obbligati a lasciare le finanze in mano a un commissario che taglia senza pietà, dai servizi alla persona alla manutenzione delle strade. Non sono casi isolati. Rischiano di finire dietro la lavagna altri 59 municipi, quelli che hanno già dichiarato lo stato di pre dissesto. Comuni che non ce la fanno, chiedono di poter dilazionare i debiti come tante famiglie in difficoltà.

E ci sono 374 paesi e città incamminati sulla stessa strada, il lungo viale verso il default. Sono i Comuni senza possibilità di manovra finanziaria: hanno già portato al massimo le tasse locali. Sono come le famiglie indebitate che arrivano a stento a fine mese: se il figlio si rompe un dente, rischiano anche loro il default.
Il sindaco di Varese, Attilio Fontana, è orgoglioso di essere riuscito a sostituire le 23 caldaie delle scuole elementari senza spendere una lira: «Ho trovato una ditta che ha accettato di cambiare gratis i vecchi impianti a gasolio con quelli a metano che inquinano di meno e consumano poco». Un gesto di improvvisa generosità verso i cittadini? «No, un normale scambio commerciale. L’installatore incamera per dieci anni i risparmi, la differenza tra quel che il Comune spendeva prima con l’impianto a gasolio e ciò che spenderemmo adesso con le nuove caldaie a metano. Nel 2023 il risparmio sarà tutto a vantaggio delle casse comunali ». Accordi che si possono fare quando il Comune è sostanzialmente sano anche in periodi di vacche magre. Ma non è sempre così. Fontana segnala quel che molti sindaci vanno gridando invano da tempo: «Anche chi non rischia il dissesto è costretto a risparmiare su spese essenziali come la manutenzione delle strade e delle scuole. Man mano che passa il tempo le mancate riparazioni finiscono per aumentare il degrado dei conti in modo geometrico».
Il nuovo millennio è cominciato molto male per i Comuni italiani. Ben prima della grande crisi del 2008, il rubinetto dei pagamenti da Roma è stato progressivamente chiuso: «Da 12 anni – sottolinea Piero Fassino, presidente dell’Anci e sindaco di Torino – i trasferimenti sono stati tagliati senza che ai Comuni sia stata data una adeguata capacità di manovra finanziaria ». Il Patto di Stabilità ha fatto il resto: ogni risparmio sulle spese delle amministrazioni locali si traduce in denaro versato nelle casse dello Stato. Il sistema rischia ora di strozzare i municipi: negli ultimi 7 anni da Roma sono stati versati nelle casse comunali 7 miliardi e mezzo in meno. Nello stesso periodo più di otto miliardi e mezzo sono stati spostati dai Comuni ad altre amministrazioni pubbliche con il meccanismo del patto di stabilità. «Spesso – sottolineano all’Anci – le amministrazioni comunali hanno aumentato Imu e Irpef per poter compensare i tagli delle sovvenzioni statali senza ridurre i servizi ai cittadini. Ma in molti casi questo non è più possibile. E i cittadini sono costretti a pagare più tasse di un tempo per avere servizi che, nella migliore delle ipotesi, sono rimasti gli stessi di prima».
Per questo nei prossimi giorni i Comuni chiederanno al governo un patto di stabilità meno rigido che consenta almeno di mettere mano alle manutenzioni straordinarie delle strade e delle scuole. Senza quelle spese la vita di tutti diventa più difficile. Gli incidenti, anche mortali, causati dalle voragini che si aprono nell’asfalto delle vie cittadine riempiono le pagine di cronaca. A Torino l’amministrazione ha acquistato un macchinario tappa-buche per far fronte all’emergenza. Il sindaco di Varese annuncia «un cambio al regolamento comunale per obbligare chi apre un cantiere nelle strade a ripristinare l’asfalto dell’intera carreggiata». Espedienti che da soli non servono a rimettere in sesto le casse. «Al governo chiederemo anche la restituzione dei 500 milioni di Imu che lo Stato si è preso lo scorso anno per un errore di calcolo», spiega Fassino. E’ successo anche questo a rendere più complicata la vita dei sindaci. Ora l’Anci protesta: «Se l’Imu è una tassa locale, che vada tutta ai Comuni». Non sarà facile. Proprio ieri il ministero dell’Economia ha segnalato che il mancato gettito Imu ha pesato sul fabbisogno salito a 8,8 miliardi. Eppure senza correre ai ripari i municipi, anche quelli meno poveri, finiranno per impoverirsi sempre più. Molti hanno già cominciato a vendere i gioielli di famiglia, come le partecipazioni nelle ex municipalizzate che forniscono servizi essenziali: l’acqua, l’energia elettrica, il gas. E’ di questi giorni la rivolta contro l’amministrazione di Genova, dove il sindaco Doria ha annunciato per l’autunno una serie di privatizzazioni. A Torino l’amministrazione comunale sta provando a vendere il 49 per cento dell’azienda del trasporto pubblico.
Nonostante artifici e trovate, molti comuni sono già finiti in default. Alcuni per marchiani errori di gestione. Il più clamoroso è il dissesto di Alessandria, centomila abitanti nel cuore del Piemonte, finita in mano al commissario per le ardite acrobazie finanziarie della precedente amministrazione. Altre Detroit nostrane sono finite in bancarotta per questioni che vengono da lontano. Nella lista dei falliti ci sono comuni relativamente grandi come Caserta, Vibo Valentia, Velletri, Terracina, e piccoli centri dal nome evocativo, come Maddaloni, patria di Clemente Mastella, o Casal di Principe, dove alla ricchezza delle organizzazioni criminali fa da contraltare la povertà delle casse pubbliche. Nei prossimi mesi a questo elenco si potrebbero aggiungere altri municipi oggi in pre dissesto come Messina, Catania, Napoli, Rieti. La maggior parte sono nelle zone più povere del Paese: «Affidare l’autonomia economica dei Comuni alla tassazione sulla casa osservano all’Anci – finisce per aumentare la disparità tra Nord e Sud». E’ intuitivo che il gettito dell’Imu tra i comuni di villette a schiera della Brianza sia in proporzione maggiore di quello dei comuni dell’hinterland palermitano. Sono le conseguenze di un federalismo fiscale di tipo ideologico, pensato dalla Lega senza tenere conto delle differenze di reddito tra le diverse aree dell’Italia.
Eppure non tutti i problemi riguardano le aree povere del Paese. Nei mesi scorsi anche il comune di Campione d’Italia, enclave tricolore nell’opulenta Svizzera, ha chiesto informazioni a Roma sulle procedure di dilazione dei debiti previste da chi si trova in condizione di pre dissesto. Che cosa era successo? E’ finito il bengodi: la principale fonte di reddito, il Casinò, è entrata in sofferenza. La casa da gioco ha chiuso il 2011 con un passivo di 40 milioni e il 2012 con 27 milioni di rosso. Effetti della crisi e della concorrenza, dal Gratta e Vinci alle slot dei bar. Non capita solo a Detroit e a Vibo Valentia: anche i Comuni ricchi, certe volte, piangono.

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