I controllori sono anche i controllati Gli incarichi multipli di politici e boiardi
«Ma lei non ci dorme la notte?». Rispose così, Vincenzo De Luca, a un cronista del Fatto quotidiano che chiedeva al viceministro delle Infrastrutture se mai avrebbe lasciato l’incarico di sindaco di Salerno. «In Italia nessuno si è turbato della questione della mia incompatibilità, tranne qualche sfaccendato», chiosò. Non si è appurato se fosse riferito ai giornalisti che avevano sollevato il caso, sottolineando come gli capitassero casualmente sul tavolo da viceministro dossier riguardanti proprio la sua città (tipo la metropolitana leggera di Salerno) o ai politici che lo punzecchiavano fin dal giorno della sua nomina governativa. Per esempio l’ex guardasigilli berlusconiano Francesco Nitto Palma, che insorse perché, mentre De Luca se ne stava placidamente seduto sulle due poltrone, il suo Partito democratico presentava in Campania due mozioni contro gli assessori regionali Marcello Taglialatela e Giovanni Romano, rispettivamente deputato del Fli e sindaco di Mercato San Severino, un Comune di oltre 22 mila abitanti.
Qualche «sfaccendato» alla Camera e poi al Senato, tuttavia, ha per fortuna fatto secco quell’emendamento malandrino al «Decreto del Fare» (ma perché da qualche tempo in qua le leggi hanno tutte un soprannome?) che gli avrebbe consentito di conservare il doppio incarico. Così De Luca dovrà lasciare, e quegli impiccioni della stampa dormiranno tranquilli.
I bei tempi in cui alle polemiche sui doppi e tripli incarichi si replicava con un’alzata di spalle sono ormai lontani. È finita l’epoca del Parlamento pieno zeppo di sindaci di grandi città, da Palermo a Brescia e Catania, e di presidenti di Provincia, da Napoli a Caserta e Bergamo. Al massimo si può incontrare il primo cittadino di qualche centro più piccolo, qual è Simonetta Rubinato: deputato Pd e sindaco di Roncade, 14 mila abitanti in provincia di Treviso. Nel governo, i ministri Flavio Zanonato e Graziano Del Rio non sono più sindaci di Padova e Reggio Emilia. Il solo sottosegretario agli Affari regionali Walter Ferrazza, arrivato al governo per un irripetibile caso della vita, conserva ancora l’incarico di sindaco. Il suo paese è Bocenago, 396 anime in provincia di Trento. Nemmeno un pezzo da Novanta come l’ex governatore della Lombardia Roberto Formigoni, una volta diventato senatore ha potuto conservare l’incarico di commissario generale dell’Expo 2015. Ha tentato. Ma il vento era cambiato e non c’è stato nulla da fare. Antonio Verro, invece, non ha neppure provato a tenere il piede in due staffe: era una missione impossibile. Deputato di Forza Italia per due legislature, nel 2008 era rimasto fuori dal Parlamento. Risarcito con un posto da consigliere Rai, a febbraio del 2013 è stato rieletto, stavolta al Senato. Il bello è che candidandosi non aveva nemmeno dovuto rinunciare alla poltrona. Così tre mesi dopo le elezioni si è potuto dimettere da senatore annunciando la decisione di voler restare alla tivù di Stato. Mistero circa i motivi che hanno determinato questa curiosa conversione a U: ma la vicenda, inconcepibile in qualunque altro Paese occidentale sviluppato, è la riprova che la Rai è, e resta, una faccenda privata dei partiti.
Perfino le potenti categorie dei magistrati, cui è stato imposto con fatica l’obbligo del collocamento fuori ruolo per alcune mansioni extragiudiziali, hanno ora difficoltà a mantenere incarichi multipli. Il segretario generale dell’Antitrust Roberto Chieppa non potrà continuare a fare contemporaneamente il consigliere di Stato. Né Gaetano Caputi ricoprire insieme il ruolo di direttore generale della Consob e componente dell’authority per il diritto di sciopero. Capiamoci: non che il «fuori ruolo» abbia chiuso del tutto la stagione dei centauri. Ci sono sempre gli incarichi «gratuiti», come quello di presidente della Corte di giustizia federale della Federcalcio (Gerardo Mastrandrea, consigliere di Stato). O altre mansioni istituzionali: il giudice del Tar Calogero Piscitello è presidente del collegio dei revisori dell’Istat. Per non parlare della messe di incarichi governativi, o di consulenza nelle autorità indipendenti: comitati del precontenzioso, consiglieri giuridici… E i prefetti? Per ben otto mesi Umberto Postiglione è stato prefetto di Palermo e commissario governativo della Provincia di Roma. Attualmente somma questo secondo incarico con la direzione degli affari interni del ministero, quella che si occupa di vigilare sugli enti locali. Come appunto le Province. Stakanovista non da oggi: per dieci anni è stato sindaco di Angri, un Comune di 30 mila abitanti, senza andare in aspettativa dal ministero dell’Interno.
Basta poi che la luce dei riflettori si allontani perché tutto assuma contorni più impalpabili e sfumati.
Giovanni Romano, per esempio, resiste: assessore all’Ambiente della Campania e sindaco di Mercato San Severino. Resiste anche Mario Mantovani, ex senatore ed ex sottosegretario, oggi vicepresidente della Regione Lombardia, di cui è consigliere e assessore alla Sanità, nonché sindaco di Arconate. Di più: alla di lui famiglia fanno capo undici strutture sanitarie convenzionate con la sua Regione, per un totale di 830 posti letto. Resiste Daniele Molgora, che era arrivato a cumulare la presidenza della Provincia di Brescia al seggio parlamentare e allo scranno da sottosegretario all’Economia: oggi, oltre alla guida della giunta provinciale, ha un posto da consigliere nella società dell’autostrada Brescia-Padova. Resiste l’ex parlamentare Valentina Aprea, assessore della Lombardia e consigliere di Finlombarda insieme all’ex onorevole leghista, e assessore a sua volta, Massimo Garavaglia.
Si dirà che è normale, in periferia. Chi deve stare nelle società partecipate, se non gli amministratori? Poco male se poi i controllori diventano anche controllati… Questione di punti di vista. Certo è ancor meno normale che il presidente della Provincia di Varese (oggi commissario), qual è l’ex parlamentare del Carroccio Dario Galli, sia anche consigliere di amministrazione della Finmeccanica, oltre che presidente dell’Agenzia per il turismo provinciale e del cosiddetto «ambito territoriale ottimale» varesino. Oppure che un consigliere regionale della Campania, nella fattispecie Annalisa Vessella, ricopra insieme l’incarico di amministratore delegato della Isa, società controllata dal ministero dell’Agricoltura che distribuisce decine di milioni l’anno.
Ma questa è l’Italia. Dove in un amen, si può diventare collezionisti di poltrone pubbliche. Senza che ci sia una scadenza. Ricordate Andrea Monorchio? Indimenticato ex Ragioniere generale dello Stato, incarico che ha lasciato 12 anni orsono, attualmente è presidente della società assicurativa pubblica Consap nonché capo dei revisori di Telespazio (Finmeccanica), Fintecna e Fintecna immobiliare (Tesoro). Ricordate l’espertissimo e potentissimo Vincenzo Fortunato? Negli ultimi 12 anni è stato capo di gabinetto di cinque diversi ministri dell’Economia e di un ministro delle Infrastrutture. Uscito dalle scene ministeriali, ha avuto subito tre incarichi: presidente di Investimenti immobiliari italiani, la nuova società del Tesoro che dovrà «valorizzare» (parola che fa venire i brividi, visti i precedenti) immobili pubblici per un miliardo e mezzo, liquidatore della Stretto di Messina (quella che avrebbe dovuto fare il famoso ponte) e capo del collegio sindacale di Studiare sviluppo, una società di consulenza del ministero dell’Economia.
Nessuno, tuttavia, potrà mai toccare le vette raggiunte dal presidente dell’Inps Antonio Mastrapasqua. Quando è stato nominato dal governo di Silvio Berlusconi, nel 2008, occupava una quarantina di poltrone. Pubbliche e private. Adesso, con tutto quello che ha da fare dopo la fusione fra l’Inps e l’Inpdap, gliene sono rimaste quindici. Ma che poltrone. C’è, fra le tante, la presidenza della società di gestione di fondi immobiliari Idea Fimit. C’è la vicepresidenza di Equitalia. C’è la presidenza dei collegi sindacali di Adr engineering, Aquadrome ed Eur Tel (Tesoro). Ci sono gli incarichi da revisore nelle Autostrade, Coni servizi e Loquendo (Telecom). Dulcis in fundo, c’è pure un posto da direttore generale: all’Ospedale israelitico di Roma.
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