Gli eccessi delle monete virtuali Inchiesta negli Usa per riciclaggio

by Sergio Segio | 14 Agosto 2013 7:12

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NEW YORK – Il Comitato per la sicurezza interna e gli affari nazionali del Senato americano ha avviato un’indagine per verificare l’utilizzo da parte di alcune start-up finanziarie della moneta «virtuale» Bitcoin. «Con tutte le tecnologie emergenti – si legge – il governo federale deve essere sicuro di poter gestire e superare rapidamente i rischi e le sfide proposte dalla nuova moneta, e garantire che azioni illegali isolate non soffochino lo sviluppo di nuova tecnologia dalle grandi potenzialità finanziarie».
Venti società che lavorano con la valuta virtuale fondata da uno sconosciuto utente che utilizza lo pseudonimo Satoshi Nakamoto dovranno dunque fornire informazioni di trasparenza alla Commissione su strategie, transazioni e misure di protezione dei consumatori.
Tra queste c’è anche il fondo dei gemelli Winklevoss, i quali hanno investito i soldi del processo contro il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg (accusato di aver loro rubato l’idea del social network), 65 milioni di dollari, in un fondo di exchange-traded fund (Etf) dedicato allo scambio della valuta.
La lettera arriva pochi giorni dopo la decisione della Securities and Exchange Commission, la Consob americana, di perseguire uno speculatore del Texas colpevole di avere architettato uno schema Ponzi attraverso il suo Bitcoin Saving Trust e «rubato» così cinque milioni di dollari. Quasi contemporaneamente il Dipartimento di Giustizia americano ha imposto la chiusura della banca digitale di Arthur Budovsky, con sede in Costa Rica, con l’accusa di riciclaggio per sei miliardi di dollari attraverso 55 milioni di transazioni anonime.
«Crediamo che l’adozione di misure di salvaguardia darà benefici di lungo termine nel rafforzamento del settore delle valute virtuali», ha dichiarato Benjamin Lawsky, a capo del Dipartimento dei servizi finanziari, convinto che se le valute virtuali restano «un Wild West per narcotrafficanti o criminali» non si mette solo a rischio la sicurezza nazionale, ma «l’esistenza stesse delle valute». Dichiarazioni che sanciscono la legittimità della moneta nata nel 2009 grazie a un algoritmo crittografato come reazione alla sovranità degli Stati e al ruolo delle banche nella vita dei cittadini e diventata, in soli tre anni, una realtà impossibile da ignorare.
«Il valore in dollari del mercato virtuale ha oscillato fortemente ma nel complesso ha avuto una crescita vertiginosa – ha scritto Paul Krugman sul New York Times -. Ma questo rende l’esperimento un successo? Non proprio. Quello che vogliamo da un sistema monetario non è arricchire singoli individui, ma facilitare le operazioni e rendere l’economia nel complesso più ricca».
Sembra che gli enti regolatori stiano prendendo in seria considerazione le parole del Nobel americano. Anche perché quello di Bitcoin è ormai un mercato da 1,3 miliardi di dollari: la moneta vale 102 dollari al cambio attuale (20 dollari appena un anno fa).
Secondo la Electrical and Electronic Engineers è stata la crisi europea a dare una spinta alla valuta virtuale trasformandola in un’alternativa concreta. Il picco del valore – 130 dollari – si è raggiunto durante i giorni di Cipro quando Bitcoin è diventata un bene rifugio per gli speculatori in fuga dalle rovine finanziarie. Al momento circa l’80% delle transazioni sono gestite da una società giapponese, la Mt.Gox, e avvengono – come vuole l’anima «anarchica» del progetto – in maniera del tutto anonima. Le fluttuazioni del valore possono superare il 60% in una sola seduta.
Gli hacker creatori della moneta si sono dati alcune regole: la creazione di nuovi Bitcoin è limitata a un massimo di 21 milioni, inoltre le transazioni sono verificabili e non falsificabili grazie al ruolo svolto da garanti detti «miner» che controllano le operazioni. Misure sufficienti certo in un mondo virtuale alla Second Life, ma che oggi – nella vita adulta – richiedono l’intervento dei nemici di sempre.
Serena Danna

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