by Sergio Segio | 26 Agosto 2013 17:47
La divisione è quella di sempre: gli ortodossi di qui, i dialoganti di là. Falchi e colombe, insomma. Ma con l’estate, la possibile crisi di governo e la possibilità di andare a nuove e elezioni, ora nel Movimento Cinque Stelle le contraddizioni esplodono molto più visibili che in passato.
L’oggetto della disputa, questa volta, è il tema della legge elettorale. Perché sulla necessità di cambiare il Porcellum tutti i grillini sono pienamente d’accordo: ma sul come arrivarci, lì la spaccatura c’è tutta.
Attraverso il suo blog, Grillo nei giorni scorsi ha impresso la virata: meglio andare a votare con il Porcellum, a cambiarlo ci penseremo dopo (quando avremo vinto le elezioni, of course). Peccato però che da mesi i gruppi parlamentari del M5S stavano già provando ad andare oltre all’attuale legge elettorale tentando il dialogo con le altre forze politiche e, contemporaneamente, lavorando ad un bozza in senso proporzionale da presentare ai primi di settembre.
Appena emanata la ‘sentenza’, subito i falchi si sono accodati. I nomi sono quelli di sempre: il capogruppo alla Camera Riccardo Nuti, il vero custode dell’ortodossia; quello al Senato, Nicola Morra. E via via tutti gli altri più vicini ai due fondatori, da Vito Crimi a Roberta Lombardi. A volte con cambi di versione abbastanza repentini, da un «siamo disposti a molto pur di cambiare il Porcellum» il giorno prima a un «votare con il Porcellum?, Per noi nessun problema» il giorno dopo. Il nuovo dogma è questo: Pd e Pdl vogliono fregarci con il ‘Superporcellum’, e allora meglio il male minore, la legge elettorale attuale.
Ma allo stesso tempo ci sono deputati e senatori che ancora oggi credono sia possibile evitare di tornare al voto con il Porcellum. Per due motivi semplici, poi: perché il M5S e lo stesso Grillo lo hanno sempre avversato dicendone peste e corna e quindi sarebbe poco coerente tenerselo; e perché con ogni probabilità il giorno dopo il voto con questa legge la situazione rimarrebbe immutata, con tre poli contrapposti e con uno dei tre (il M5S) che di allearsi per un governo non ci pensa nemmeno.
Nelle fila dei ‘possibilisti’ ci sono quelli che – e non è un caso – venivano definiti ‘dissidenti’. I siciliani Tommaso Currò e Francesco Campanella, il friulano Lorenzo Battista, il sindaco di Parma Federico Pizzarotti (il quale, tra le altre cose, non ha mai rinnegato la sua amicizia con l’ex delfino di Beppe, Giovanni Favia).
Le voci fuori dal coro a Grillo, si sa, non piacciono molto. «C’è forse qualche anima bella che crede di poter cambiare la legge elettorale con chi non ha mosso un dito in otto anni e che vorrebbe una Repubblica presidenziale con il Parlamento ridotto a uno stuoino?», chiede ”l’ex’ comico. Sì, le ‘anime belle’ ci sono anche nel suo movimento, e la domanda retorica ha quasi il sapore di un avvertimento.
Certo è che la nuova strategia della coppia Grillo-Casaleggio consiste nel radicalizzare al massimo lo scontro con i due partiti maggiori, così da ripresentarsi al voto come unica e credibile alternativa alle larghe intese. E se si vuole realizzare questo disegno, margini per cambiare il Porcellum insieme agli altri non ce ne sono.
In mezzo, nel frattempo, ci sono i pontieri. Come il vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio, uno dei grillini più esposti mediaticamente, molto vicino allo ‘staff’ ma allo stesso tempo considerato un animale politico capace di mettere insieme le due spinte. «Grillo ha ragione, la sua analisi è giusta, ma i gruppi parlamentari continueranno a lavorare per presentare una nostra proposta di legge elettorale», spiega.
Sarà il cremonese Danilo Toninelli a illustrare ai propri colleghi del M5S la bozza. Anche lui incarna la posizione mediana in questa vicenda, quella che cerca di non fare torti a nessuna della parti in causa: «La maggioranza sta studiando una nuova legge con l’obiettivo di marginalizzarci. Per questo siamo pronti ad andare a votare anche con questa schifosissima legge. Però stiamo lavorando ad una proposta di legge innovativa, al solo fine di fare del bene del Paese».
Una proposta di legge che nelle intenzioni di Grillo non dovrebbe arrivare neppure al voto, visto che chiede di sciogliere il Parlamento immediatamente, «è finito il tempo delle mele».
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