Europa, arriva la ripresina Ma l’Italia aspetta ancora
BRUXELLES – Primo Ferragosto (quasi) tranquillo per l’Europa, da un paio d’anni a questa parte. Era previsto, e però quasi non ci si crede: la recessione – quella più lunga da quando nacque l’euro, nel 1999 – si è fermata. La crescita del prodotto interno lordo, nella media dei 17 Paesi dell’Eurozona, ha abbandonato il segno negativo dopo 18 mesi filati (ma già prima traballava) ed è di nuovo in marcia: +0,3% nel trimestre aprile-giugno del 2013, rispetto a gennaio-marzo quando non si staccava da un plumbeo -0,3%. E così per la media del Pil nell’Unione Europea a 27 membri: +0,3%, da -0,1% nel primo trimestre dell’anno.
Questo dicono le stime diffuse ieri dall’Eurostat, l’istituto di statistica che segue passo passo le economie del continente. E dicono pure che alcuni Paesi sono sulla soglia dell’uscita dalla recessione, ma non riescono a superarla: è il caso dell’Italia, con un Pil negativo inchiodato a -0,2% (ma in rimbalzo rispetto al -0,6% di gennaio-marzo) e della Spagna, -0,1%. Mentre la Francia (+0,5%) ha ormai un passo baldanzoso. E il Portogallo, ancora 6 mesi fa «azzoppato», sfugge alla recessione con un brillante +1,1%. Quanto alla solita Germania, se non galoppa, trotta: +0,7%.
Olli Rehn, il commissario europeo agli affari economici, guarda al quadro generale e vede una ripresa a portata di mano: «Sono dati incoraggianti, suggeriscono che l’economia europea si sta gradualmente riprendendo». Ma «non c’è spazio per dichiarazioni autolaudatorie che suggeriscano “la crisi è finita”. La strada è ancora lunga». Quanto all’Italia, aggiunge una portavoce di Rehn, deve rispettare come tutti le raccomandazioni Ue di giugno: «spostamento del peso delle tasse dal lavoro ai consumi, al capitale e alle proprietà immobiliari», come pure «ridurre le esenzioni e le aliquote ridotte Iva e abbassare le imposte dirette».
Italia o no, nessuno a Bruxelles dimentica da dove è partito il trenino europeo: se il secondo trimestre di quest’anno viene per esempio paragonato al secondo dell’anno scorso (anziché al primo del 2013) si scopre un Pil in flessione dello 0,7% nell’Eurozona e dello 0,2% nella Ue. Sono montagne russe che non si sono quasi mai fermate.
Neanche ora. Mancano poche settimane alle elezioni politiche tedesche, in cui Angela Merkel giocherà di nuovo il suo destino di timoniera europea; e Paesi che sembravano ormai fuori dai marosi, come la Grecia, si sentono diagnosticare nuovi tracolli (per l’inizio del 2014, prevede Berlino). Poi, tutti da interpretare, ci sono i profili di altri Pil nazionali.
L’Olanda, per esempio: un tempo castello economico ben difeso da un un rating da tripla A, oggi è castigata da prospettive «negative» e dubbi crescenti, e mostra un Pil calante dello 0,2%, e una recessione sempre più aggressiva. E la Svezia? Altrettanto solida fino all’altro ieri, eccola andare in controcorrente: di colpo, ad aprile-giugno 2013, si ritrova con un Pil a -0,1, e solo a gennaio-marzo stava a +0,6%. Se il Nord ha qualche slittata, dall’Est vengono invece richiami ottimisti: la Polonia marcia a +0,4%, la Slovacchia segue con un Pil da +0,3%, la Lituania tiene ben alto il suo +0,6%.
Da un numeretto all’altro, e ormai a 7 anni dall’inizio della crisi mondiale, l’Europa cerca di guardare avanti. Olli Rehn dice che una via giusta c’è: «creare un mix politico dove una cultura della stabilità (conti in ordine, ndr) e la realizzazione di riforme strutturali, che aiutino la crescita e l’occupazione, procedano insieme mano per mano». Anche se «ci sono ancora notevoli ostacoli da superare, alcuni Stati hanno livelli inaccettabili di disoccupazione…». Un’altra cosa, forse il commissario non può dirla: che dopo Ferragosto, sempre, viene il solito autunno. Ma c’è qualcos’altro di più importante, che può aggiungere: oggi, le proiezioni della Commissione Europea indicano «una sommessa, lieve ripresa nella seconda metà del 2013».
Luigi Offeddu
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