Energia: i conflitti si evitano con la cooperazione e l’innovazione

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Dall’altro lato si susseguono gli allarmi sull’insostenibilità del modello su cui si basa la globalizzazione: l’emergenza ambientale, ormai conclamata, dovrebbe essere affrontata per esempio riducendo le emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera; se ciò avvenisse davvero però sarebbe il segnale non tanto di una volontà politica capace di una svolta “verde”, quanto di un rallentamento della produzione industriale e dunque un segno di crisi.

Mentre il dibattito prosegue tra due estremi (crescita a tutti i costi; drastiche misure ecologiche) il mondo reale va avanti. Con le sue regole, magari non scritte, magari smentite pubblicamente, ma di cui tutti sono a conoscenza. L’assioma di dover compiere ogni sforzo per aumentare il PIL spinge ogni Stato che si rispetti a prendere provvedimenti coerenti, in grado di sostenere la propria economia. Le questioni fondamentali sono l’approvvigionamento energetico e la disponibilità di materie prime. Su questo terreno si giocano oggi le relazioni internazionali.

L’energia è come l’ossigeno. Per vivere non può assolutamente mancare. Uno Stato privo dell’energia di cui ha bisogno è condannato al declino. Forse alla morte. Per ragioni di sopravvivenza bisogna mettere le mani sulle fonti, cioè sugli idrocarburi. E quindi su carbone, gas e petrolio. Il nucleare è pericoloso, le energie rinnovabili ancora marginali. La sete di energia non riguarda soltanto multinazionali o aziende di grandi dimensioni, ma coinvolge direttamente la vita quotidiana dei cittadini.

Dal 14 gennaio scorso la metropoli sudafricana di Johannesburg è colpita da interruzioni della corrente elettrica che non risparmiano mezzi pubblici, fabbriche, case e persino . È la stessa popolazione a richiedere il ripristino immediato di questo indispensabile servizio. La risposta delle autorità è quindi cercare ogni mezzo affinché la fornitura di energia sia garantita. E così si cercano petrolio e gas. La nuova frontiera sono i giacimenti di gas offshore, cioè quelli che si trovano al largo delle coste a una grande profondità: le nuove tecnologie estrattive hanno aperto questa corsa. Nei mari prospicienti il Sud Africa ricerche accurate non hanno dato gli esiti sperati. Così si guarda all’entroterra, in particolare all’altopiano arido del Karoo dove si contendono le ragioni di un grande parco naturale con quelle della multinazionale Shell che garantiranno al Sud Africa l’autosufficienza energetica per 400 anni! Nella vasta fascia di mare che va dal Kenya al Mozambico invece sembra che ci siano riserve di gas davvero considerevoli anche se difficilmente quantificabili capaci comunque già di attrarre gli appetiti delle maggiori compagnie occidentali nei cui consorzi sono tuttavia presenti anche colossi indiani e cinesi. Accanto a queste ipotesi collaborative la Cina cerca di sfruttare autonomamente le risorse di idrocarburi presenti in una zona geograficamente favorevole: sono molto più comode le rotte verso Tanzania e Mozambico rispetto a quelle sinuose e politicamente instabili che, attraverso lo stretto di Hormuz, giungono nel Golfo Persico. La Cina vuole moltiplicare e diversificare i canali da cui trarre l’energia di cui ha bisogno. Nei prossimi anni aumenterà a dismisura il fabbisogno di petrolio (si parla dell’87% di aumento entro il 2030) mentre le importazioni di carbone e di materie prime dovrebbero continuare un’irresistibile ascesa. Ovviamente qualsiasi preoccupazione ambientale è trascurata.

La capitale di un altro Paese africano, l’Etiopia, soffre di mancanza di energia elettrica e pure di acqua. In questi ultimi mesi gli abitanti di Addis Abeba si sono adeguati a convivere con il razionamento di questi due beni così necessari. A volte l’energia manca per ore, all’improvviso. Ancora una volta lo Stato promette di risolvere la situazione. Il metodo per risolverla è uno solo: costruire grandi dighe sul Nilo. Quello che fa infuriare l’Egitto. Ambedue i Paesi si dicono pronti alla guerra pur di sostenere i loro vitali interessi. La questione del bacino del Nilo sarà in cima all’agenda dei prossimi anni.

Come risolvere questa situazione? Le strade non sono molte: o si riescono a trovare accordi internazionali su base regionale (la questione dei grandi fiumi è uguale in Africa come in Asia) oppure si continuerà una battaglia pericolosissima, foriera di conflitti anche violenti.

Per la questione dell’energia l’unico rimedio sembra quello di un’autoproduzione a livello locale attraverso le nuove forme di energia rinnovabile. Una strada perseguibile dal basso. E che potrebbe dare anche speranza ai singoli e ai gruppi ristretti che sembrano essere schiacciati e impotenti davanti a questa globalizzazione.

Piergiorgio Cattani


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