Elmore Leonard, la classe operaia del crimine
Il grande scrittore americano. Così aveva definito Stephen King il collega Elmore Leonard il quale, quando gli si chiedevano lumi sul suo stile, ammetteva che scrivendo tentava sempre di lasciare perdere le parti che il lettore avrebbe saltato. Venuto a mancare all’età di 87 anni, Leonard era nato nel 1925 a New Orleans. Inizia come scrittore di western e macina racconti e romanzi a ritmo da stakanovista. Impiegato in un’agenzia pubblicitaria, nel 1961 si mette in proprio, ma è solo otto anni dopo che abbandona il western per dedicarsi al genere noir, poliziesco, il crime novel che avrebbe fatto di lui, stando alla definizione di Martin Amis, «il Dickens di Detroit».
Scrittore quintessenzialmente americano, Leonard possedeva uno stile che definire asciutto è un eufemismo. Dotato di uno straordinario senso del ritmo e del dialogo, senza contare le innumerevoli sfumature linguistiche attraverso le quali caratterizzava i suoi personaggi, Leonard affondava i suoi racconti in una dimensione realistica, quotidiana, nella quale criminali, truffatori, ladruncoli, sbirri, prostitute sono privati del loro alone mitico per essere restituiti alla dimensione di piccoli disperati sempre alla ricerca di nuovi modi per sbarcare il lunario. Ciò non toglie, ovviamente, che nei libri di Leonard i cattivi lo siano sul serio, anzi, è proprio questa dimensione quotidiana a fornire alla loro presenza quella credibilità che altri autori, dotati di uno stile più fiammeggiante, hanno corteggiato invano.
La fauna umana che popola i romanzi di Leonard è la classe operaia del crimine. Gente che gira intorno al denaro, intorno ai ricchi e che tenta sempre di prendersi una fetta di vita che il destino invece fatalmente nega loro. Autore prodigioso, dalla produzione vastissima, ha sempre avuto un rapporto privilegiato con Hollywood. A scorrere la sua filmografia ci si ritrova fra le mani interi pezzi di storia del cinema.
Sul finire degli anni Cinquanta, Budd Boetticher firma I tre banditi a partire da un soggetto di Leonard sceneggiato da Burt Kennedy. Nello stesso anno Delmer Daves dirige Quel treno per Yuma sempre su soggetto dello scrittore. Nonostante il successo di questi due film, ci vorranno dieci anni prima che Leonard ricompaia a Hollywood con Hombre di Martin Ritt, interpretato da Paul Newman e tratto da un suo racconto.
Fra i numerosi film tratti da romanzi o racconti di Leonard, è impossibile non citare classici western «minori» come Io sono Valdez, interpretato da Burt Lancaster, e Joe Kidd di John Sturges nel quale compare Clint Eastwood nel ruolo del protagonista.
Ma sono film come A muso duro (Mr. Majestyk) di Richard Fleischer, interpretato da Charles Bronson e citato da Quentin Tarantino in Kill Bill 2, a evidenziare la fertile complessità della scrittura leonardiana. Il film, una sorta di western moderno che si svolge con la secca essenziale dei migliori noir fleischeriani, mette al centro del racconto un coltivatore che non ne vuole sapere di farsi sloggiare dalle sue terre. Il soggetto ideato da Leonard, come accade sovente nei suoi romanzi e racconti più riusciti, mette in relazione lavoro, individuo e comunità. La medesima essenzialità dei migliori libri di Leonard si ritrova nelle immagini di Fleischer.
Altro film memorabile tratto da Leonard è 52 gioca o muori, adattamento di 52 Pick Up firmato da John Frankenheimer e prodotto dalla Cannon. Chi invece ha avuto pochissima fortuna nel tentativo di portare sullo schermo un romanzo di Leonard è stato Abel Ferrara, che di Oltre ogni rischio (Cat Chaser) non serba certo un buon ricordo. «Elmore Leonard è uno scrittore al cui mondo riesco a rapportarmi molto bene», ha dichiarato Ferrara. «In quel libro c’erano cose, come la moralità, con le quali mi confronto spesso nei miei film. Purtroppo, credo che al cinema Leonard non abbia mai avuto molta fortuna e non credo che Oltre ogni rischio gli abbia reso un gran servizio. Per me Leonard è il Mark Twain di questa merda di ventesimo secolo. Mi aveva proposto di fare Get Shorty, ma l’offerta arrivò proprio quando avevo appena ricevuto i soldi per fare King of New York. Ero in una situazione del tipo: adesso o mai più. Al personaggio di Chili Palmer, che è veramente straordinario, nel film di Barry Sonnenfeld non è resa giustizia. Ho visto Get Shorty tre volte in aereo. Solo la quarta volta sono riuscito a concentrarmi. Risultato? Ciò che rendeva interessante il libro è scomparso completamente».
Eppure, nonostante l’analisi al vetriolo di Ferrara, Leonard ha conosciuto, al di là dei casi già citati, in Quentin Tarantino e Steven Soderbergh due eccellenti registi in grado di riuscire a reinventare il suo mondo sullo schermo.
Jackie Brown e Out of Sight colgono alla perfezione la dimensione del crimine quotidiano di Leonard rielaborando la lettera dello scrittore attraverso il loro stile inconfondibile. Non meraviglia dunque che al momento della sua morte Elmore Leonard fosse immerso nella produzione di Justified, serie televisiva interpretata da Timothy Olyphant, nella quale l’ambientazione western e quella da crime novel vanno a braccetto proprio come in A muso duro di Fleischer.
Scrittore impossibile da tradurre (è obbligatorio leggerlo in inglese per avere un’idea della sua forza), essenziale come un Hemingway, secco come un Carver, bruciante come un Wambaugh senza retorica, Elmore Leonard, autore irriducibilmente americano, nella carne e sangue dei suoi desperados è riuscito a raccontarci, da vicino, con un sorriso amarissimo sulle labbra, l’ineluttabile ironia e dolore che accompagna tutte le nostre fatiche su questa terra.
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