Ecco i soldi alle imprese ma con le addizionali Irpef il conto tocca agli italiani
Cinque sono già arrivati alle imprese. I fondi ci sono, daranno respiro alle imprese, sosterranno le entrate Iva e le speranze di ripresa. Il ministro Fabrizio Saccomanni ieri si è detto pronto a fare anche un passo in più e portare i versamenti del 2013 a quota trenta miliardi.
Solo un dettaglio è passato inosservato: saranno i contribuenti a pagare. In molti casi, lo faranno attraverso nuovi aumenti della pressione fiscale. Il mosaico d’insieme manca di alcuni tasselli, perché spesso le regioni danno prova di grande discrezione quando si tratta di aggiustare verso l’alto i prelievi
di loro competenza. Ma per milioni di contribuenti il versamento degli arretrati delle pubbliche amministrazioni alle imprese non avverrà a saldi fiscali invariati.
Piemonte, Campania e Molise hanno già alzato le aliquote e vari altri governi regionali si preparano a seguirle o, senza dirlo a voce alta, lo hanno già fatto. I pagamenti alle imprese, fino a 50 miliardi in due anni, coincideranno con una manovra fiscale in un numero significativo di regioni italiane. Aumenterà l’addizionale regionale Irpef per i redditi delle persone fisiche, l’Irap per le imprese e, in certi casi, anche la tassa regionale automobilistica.
Forse non poteva andare altrimenti. Di certo, a leggere il decreto legge 35 di aprile che apre la strada al saldo degli arretrati, senza tagli di spesa è la solita strada obbligata. Il decreto è chiaro: per i pagamenti, il Tesoro si rende disponibile a fornire a comuni, provincie e regioni di “anticipazioni di tesoreria”. Dunque non trasferimenti a fondo perduto, ma prestiti del ministero alle giunte regionali da rimborsare “entro trent’anni”. Il tasso d’interesse è vantaggioso ma non irrisorio, perché coincide con quello di un Btp a cinque anni: per le prime regioni che hanno avuto i fondi circa il 3,8%, anche se oggi il tasso è sceso.
La logica del governo è chiara: il Tesoro si indebita per saldare gli arretrati; ma ogni ente locale dev’essere responsabile dei propri livelli di spesa di fronte ai propri contribuenti, senza spalmare sul resto degli italiani il costo dei suoi arretrati. È per questo che ogni regione può ricevere l’“anticipazione”, cioè il prestito, solo dopo aver presentato al Tesoro un piano di copertura in cui dimostra di poter pagare gli interessi e il capitale a scadenza. Senza, i fondi non escono dalla tesoreria di Roma e le imprese non verranno pagate.
Non stupisce dunque che molti governatori abbiano già alzato le aliquote per accedere ai fondi del Tesoro e pagare i fornitori. Il Piemonte ad esempio ha richiesto in totale 2,2 miliardi e ha già avuto quest’anno 803 milioni per debiti sanitari e 447 per gli arretrati di provincie e comuni. Ma per coprire i prestiti verso il ministero, sono partiti gli aumenti dell’addizionale Irpef: da 0,40% per i redditi fino a 15 mila euro, fino a 1,10% per quelli sopra 75%. La Campania invece ha richiesto 2,9 miliardi solo per i debiti non sanitari e le è stata riconosciuta una parte di questi trasferimenti solo dopo aver varato un aumento dello 0,15% dell’Irap a copertura dei prestiti per pagare i debiti sanitari e uno dello 0,30% sull’Irpef per quelli non sanitari. Anche il Molise ha aumentato l’Irpef in cinque scaglioni (a partire dallo 0,50% sui redditi più bassi) e ritoccato la tassa regionale automobilistica.
Liguria e Toscana invece sono riuscite a evitare manovre fiscali. La Calabria poi annuncia tagli di spesa poco credibili (il trasferimento degli uffici in locali ancora inesistenti), probabile preludio a aumenti delle tasse fra un po’. E il Lazio, che ha chiesto al Tesoro 3,9 miliardi solo per i debiti non sanitari, non ha risposto a ripetute richieste di informazioni su eventuali ritocchi delle aliquote.
Insomma i pagamenti alle imprese sono vicini. La fine dei sacrifici dei contribuenti, specie nelle regioni poco virtuose, molto meno.
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