by Sergio Segio | 20 Agosto 2013 15:35
ROMA — Ora che lo spiraglio giuridico è aperto, il Pdl va all’attacco, per evitare che Silvio Berlusconi decada da parlamentare: è quello che prevede la legge Severino, a seguito della condanna a 4 anni per frode fiscale.
Così, dopo meno di una settimana, il richiamo del capo dello Stato sembra evaporato. Berlusconi via Facebook tranquillizza i suoi: «Io resisto! non mollo. Non mi faccio da parte. Resto io il capo del centrodestra». E il percorso indicato dal Quirinale che apriva alla possibilità di grazia, se richiesta? La linea del Pdl la indica l’ex presidente del Senato, Renato Schifani: «Nel messaggio del capo dello Stato non ho trovato quello che avevamo chiesto. Delle posizioni del presidente si prende atto e si rispettano, ma ci aspettavamo di più».
Chiede un «bis» al Quirinale anche Fabrizio Cicchitto: il presidente, dice, «deve ulteriormente misurarsi con la situazione». E Michaela Biancofiore vuole l’intercessione del premier Enrico Letta per chiedere un nuovo «segnale di pacificazione»: la «commutazione della pena». Cosa che peraltro non risolverebbe la questione decadenza.
In assenza di segnali, il Pdl cavalca i dubbi espressi da alcuni giuristi sull’applicazione della legge Severino, votata dalla scorsa maggioranza, Pdl incluso. Chiede uno slittamento della decisione della giunta sulla decadenza e sfida il Pd: «Se ci fosse un atteggiamento pregiudiziale di chiusura alle richieste di approfondimento anche davanti alla Corte costituzionale della legge Severino, allora sarebbe impossibile un percorso comune», avverte ancora Schifani, dal Meeting di Rimini. E pur considerando non all’ordine del giorno le dimissioni dei parlamentari del Pdl, fa capire che la tenuta del governo sarebbe seriamente compromessa».
Si tenta così di forzare il blocco Movimento 5 Stelle e Pd, che va avanti compatto in giunta verso un voto sfavorevole al Cavaliere condannato. Tentativo che sembra fallire. Il Pd ieri con Gianni Pittella è tornato a respingere le «minacce»: «Voteremo la decadenza». E con l’ex ministro Cesare Damiano ha parlato di «irricevibili e sconcertanti richieste». Posizioni in grado di resistere anche a un eventuale voto segreto? Il Pdl spera di no mentre attacca. «Atteggiamento pregiudiziale», dice Renato Brunetta. Mentre Schifani avverte: «In una maggioranza diversa» a sostegno di un eventuale governo Letta-bis «non ci sarà né il Pdl né nessuno dei parlamentari».
Intanto si cavalcano i dubbi di alcuni giuristi sull’applicabilità e la costituzionalità della norma. E Mariastella Gelmini chiede «più tempo per la giunta», per approfondire se la norma ha carattere penale e quindi è irretroattiva o amministrativa e dunque condonabile.
«Non infiliamoci in una cosa da “azzeccagarbugli”» raccomanda Benedetto Della Vedova (Scelta civica), membro della giunta: «Ho partecipato ai lavori per la norma sull’incandidabilità. Abbiamo deciso che era un prerequisito, mica una condanna aggiuntiva. Altrimenti la legge sulla corruzione cos’era? Una finta? Se bisogna fare l’eccezione facciamola, ma con strumenti eccezionali come la grazia».
«E io?». L’obiezione viene dal primo «incandidabile»: Marcello Miniscalco, segretario regionale dei socialisti in Molise, escluso dalle liste del centrosinistra alle amministrative del 2013, sulla base della legge Severino, come spiega in un’interrogazione ad Alfano Riccardo Nencini. «Se non avesse riguardato anche Berlusconi — denuncia Miniscalco — nessuno avrebbe sollevato dubbi di costituzionalità. Il mio ricorso è stato respinto dal Tar e dal Consiglio di Stato, senza che il Pdl locale si stracciasse le vesti. Anzi. Se ora Berlusconi dovesse essere salvato, proprio da chi quel decreto l’ha votato, darò battaglia: non cerco ripescaggi, ma voglio sapere in che Paese viviamo».
Virginia Piccolillo
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