Che business l’Italia che brucia

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Perché l’Italia brucia ogni estate? L’assenza di prevenzione, la mancanza di qualunque coordinamento tra gli enti che dovrebbero occuparsene, sprechi colossali che sottraggono fondi per gli interventi indispensabili.

Nel numero de “l’Espresso” in edicola giovedì Fabrizio Gatti descrive tutte le falle nella rete italiana che dovrebbe combattere gli incendi. L’inchiesta si concentra sul paradosso delle spese folli per gli aerei contro i roghi, che hanno svuotato le casse obbligando quest’anno a tenere diversi Canadair fermi negli hangar. Una situazione paradossale, che il premier Letta ha promesso di risolvere.

Gatti ricostruisce su “l’Espresso” che i Canadair italiani vantano il prezzo record di 40 milioni l’uno. Quasi come un Airbus di linea. Ma a differenza di qualunque compagnia aerea che prenderebbe in leasing i suoi aerei, la Protezione civile ai tempi dei grandi eventi ne ha fatti comprare allo Stato più di venti. Tra acquisto e manutenzione, un peso da quasi un miliardo di euro sulle tasche degli italiani.

Il 5 aprile scorso un decreto del presidente Napolitano, ha trasferito flotta e relativa scocciatura dei 19 Canadair, sopravvissuti a guasti e incidenti, dalla Protezione civile al dipartimento dei Vigili del fuoco. La loro efficienza e il loro impiego sono ora affidati a una società privata italo-spagnola, la Inaer Aviation Italia con base a Colico, provincia di Sondrio, e amministratori italiani. I suoi bilanci in costante crescita danno la prova che lo spegnimento dal cielo rende bene: dai 68 milioni di fatturato nel 2009, quando l’azienda si occupava di elisoccorso e lavoro aereo, ai 119 milioni nel 2011 quando, l’8 febbraio, è stato aggiunto il contratto con la presidenza del Consiglio per le campagne antincendio. «Tale contratto per il 2011», è scritto nel bilancio, «ha dato ricavi per circa 29 milioni di euro con un personale medio di 292 dipendenti, di cui 42 collaboratori a progetto». E nel 2012 l’appalto è stato rinnovato per tre anni, con possibilità di proroga per altri tre.

All’inizio dell’estate l’attuale capo della Protezione civile, Franco Gabrielli, ha annunciato che nel 2013 non saranno impiegati più di 15 Canadair. La tabella ufficiale sulla disponibilità di mezzi aerei ne indica 10-14, come per il 2012. Un taglio obbligatorio dovuto alla crisi. E uno spreco, di cui il prefetto Gabrielli ha ereditato gli effetti dalla precedente gestione di Guido Bertolaso. Perché i cinque Canadair che rimarranno sicuramente a ossidarsi negli hangar li abbiamo già pagati 200 milioni.

Ogni giorno che restano fermi sono una perdita: ma i soldi per farli volare sono finiti anche a causa del loro acquisto. La società italo-spagnola comunque non ci rimetterà nulla. Meno aerei si mantengono efficienti, più si risparmia. Il budget complessivo stanziato dal decreto del presidente della Repubblica per la gestione della flotta farebbe gola a qualunque imprenditore: 82 milioni 800 mila euro nel 2013; 87 milioni nel 2014; 87 milioni nel 2015.

Un altro signore della guerra agli incendi ha l’ufficio in via Settebagni 390, periferia di Roma. Rodolfo Spagnoli, 67 anni, deve la sua ricchezza alla Protezione civile di Bertolaso e ad alcuni generali dell’Aeronautica militare distaccati al Centro operativo aereo unificato, la sala comando da cui vengono gestiti i voli antincendio. E’ loro il giudizio estremamente positivo sulla “Spea sicurezza protezione ambiente” e sulla “Air Spea società aerea protezione ambiente”, due srl che fanno riferimento a Spagnoli e alla sua famiglia. Tra il 9 giugno 2006 e il 21 maggio 2013 attraverso le due società, l’imprenditore di Settebagni ha incassato dalla Protezione civile 33 milioni 968 mila euro per la fornitura ai Canadair di liquido estinguente e ritardante. E 67 milioni 900 mila euro tra il 2007 e il 2012 per il noleggio e le attività antincendio prima con quattro poi con otto piccoli aerei “Fire boss” AT-802 costruiti negli Stati Uniti. Poiché ogni “Fire boss” costa al massimo due milioni, è come se la presidenza del Consiglio che firma i contratti della Protezione civile avesse accettato un prezzo di noleggio per pochi mesi su cinque anni equivalente all’acquisto di ben 33 aerei dello stesso tipo.

«Nel 2007 fu individuato il velivolo AT802, versione anfibia», spiega la Protezione civile, «in possesso di caratteristiche tecniche tali da risultare complementare rispetto alla flotta già in dotazione, a copertura di aree quali la Puglia, l’Abruzzo, la Basilicata e in particolare la Sicilia. Il dipartimento ha chiesto un’offerta alla Air Tractor Europe con sede in Spagna, rappresentante in Europa del costruttore del velivolo. E la società ha risposto che il servizio in questione poteva essere svolto dalla ditta spagnola Avialsa T-35 e dalla Spea, quale esclusivista per l’Italia degli aerei di produzione americana Air Tractor».

La Protezione civile di Bertolaso avviò un’indagine di mercato alla fine della quale venne presentata un’unica offerta: proprio quella dell’associazione tra imprese Avialsa e Spea. E così è stato siglato il contratto diretto da 67 milioni in cinque anni senza la classica gara, ma attraverso la sola procedura negoziata. Le date di costituzione, 2005 e 2008, suggeriscono che le due società di Spagnoli non avessero allora nessuna esperienza nell’attività aerea antincendio.

Ma i buoni affari per l’imprenditore di Settebagni non finiscono qui. Grazie agli ottimi rapporti con i generali, l’Aeronautica militare dal 2010 ha autorizzato l’impiego sui “Fire boss” a elica dei suoi migliori piloti di Tornado. Un risparmio per Spagnoli anche nella costosa formazione del personale. Adesso si scopre che si è speso troppo. E per il 2013 la Protezione civile non ha rinnovato l’appalto agli aerei di Spagnoli. Continueranno però a volare grazie agli accordi locali. «Quest’anno saranno fondamentali», spiega il prefetto Gabrielli, «le flotte aeree regionali, così come le convenzioni e i gemellaggi tra le stesse Regioni per condividere risorse e mezzi».

Ma l’estensione della filiera degli appalti e dei relativi interessi riduce drasticamente la possibilità di controllo periferico della spesa. E non esclude il rischio che qualche operatore prima di spegnere il fuoco, si dia da fare per appiccarlo. Giusto per arrotondare i compensi festivi, gli straordinari in busta o addirittura il bilancio aziendale. Dubbio fin troppo legittimo, visto che secondo il Corpo forestale dello Stato il 65 per cento degli incendi ha origine dolosa. Lo raccomanda anche la Corte dei conti: «La pluralità di soggetti coinvolti deve porsi l’interrogativo se non sia il caso di ripensare la complessiva organizzazione del sistema di antincendio boschivo attraverso una semplificazione delle strutture, in modo da renderle più funzionali e meno costose».

L’inchiesta integrale sul giornale in edicola


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