Cairo, la strage dei prigionieri islamici

by Sergio Segio | 19 Agosto 2013 6:42

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IL CAIRO — Alle quattro del pomeriggio non si vede uno spiraglio tra i carri dislocati a protezione dell’Alta corte di giustizia al Cairo. L’esercito stringe la morsa sul Paese, non concede nulla ai Fratelli musulmani. Neanche un corridoio per una trattativa informale. Ieri il generale Abdel Fatah Al Sisi, qualora qualcuno in Egitto e fuori non avesse ancora capito il linguaggio dei blindati, dei cannoncini in posizione di tiro, dei soldati in assetto di guerra, ha messo le cose in chiaro. «Chiunque immagini che la violenza possa piegare lo Stato e gli egiziani, dovrà ravvedersi. Noi non resteremo mai silenziosi di fronte alla distruzione del Paese» ha detto in un discorso poi pubblicato sulla pagina Facebook dell’Esercito. E ancora: «Noi siamo più che disposti a tutelare l’Islam nella sua corretta interpretazione, i principi tolleranti che sono ben lontani dal terrorizzare i cittadini». Parole, queste ultime, destinate ai governi occidentali, agli americani, agli europei. Non certo ai fautori della «riconciliazione» che in queste ore, si stanno riducendo in modo allarmante. Come conferma la notizia che Mohammed ElBaradei, dopo essersi dimesso dalla carica di vicepresidente, ha lasciato il Cairo diretto a Vienna. Se il Premio Nobel per la pace lascia, significa che Al Sisi e i generali padroni dell’Egitto non hanno intenzione di fermarsi.
Dall’altra parte neanche i Fratelli musulmani arretrano. Per gran parte della giornata sembravano spariti. Ieri mattina avevano annunciato «una grande manifestazione» con obiettivo l’edificio dell’Alta corte di Giustizia, lungo la Corniche, la riva del Nilo. Poi, verso le 16.30, una nota degli islamisti avvisava: «Tutto annullato per ragioni di sicurezza».
Le forze militari, però, non hanno allentato i presidi, sospettando una manovra diversiva e un ritorno in serata. E in effetti così è stato. Alle 18 circa almeno sei cortei si sono formati in diverse aree della città, cercando di dirigersi verso il grande colonnato della Corte. Ci sono stati scontri, più o meno circoscritti. Uno, per esempio, riferisce l’Ansa, davanti alla moschea di Abu Bakr, a Bab El-Shaariya, in una zona periferica della megalopoli. Segnalati molti feriti e 114 persone arrestate (comprese 18 donne). Altri colpi sono stati uditi lungo il fiume, ma a tarda notte risultava ancora difficile compilare il bollettino di eventuali vittime. Nel corso della giornata le guardie carcerarie hanno ucciso 36 detenuti, tutti militanti dei Fratelli musulmani, mentre tentavano la fuga nel corso di un trasferimento verso il carcere di Abu Zaabal, nord Cairo.
Sabato, invece, il giorno dello sgombero della moschea di Al Fath, i morti in tutto il Paese sono stati, secondo fonti ufficiali, 79. Il totale delle vittime sale quindi a 830, cominciando a contare da mercoledì scorso, quando la polizia attaccava gli accampamenti di Rabaa al Adawiyah e di al Nahda.
La situazione, dunque, resta precaria. Con il pericolo di scontri non solo tra militari e dimostranti, ma anche tra fazioni armate pro e contro Morsi, il presidente islamico deposto il 3 luglio dal colpo di Stato. Finalmente se n’è reso conto anche il governo. Ieri il ministro dell’Interno ha disposto lo scioglimento dei «comitati popolari», le squadre di civili che, sabato in piazza Ramses hanno attaccato a bastonate i dimostranti dei Fratelli musulmani e minacciato i giornalisti stranieri.
Il fatto è che ci sono troppe armi in giro. Da dove arrivano? A quanto sembra nelle ultime settimane è rifiorito il mercato clandestino che era nato subito dopo la rivolta anti Gheddafi in Libia. Le armi che girano tra i civili, dunque, verrebbero da lì. Ci sarebbe anche un listino prezzi costantemente aggiornato. Un kalashnikov, la mitraglietta di costruzione russa, costa 2.000-2.100 dollari (dopo la rivoluzione libica veniva quotata a 1.200 dollari); una pistola varia da 600-700 dollari per arrivare fino a 1.500 dollari. Sono prezzi proibitivi per la grandissima parte della popolazione: uno stipendio medio si aggira sui 400 dollari al mese. Dunque, evidentemente, qualcuno sta mettendo fondi a disposizione per armare gli egiziani, gli uni contro gli altri .
Giuseppe Sarcina

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