by Sergio Segio | 30 Agosto 2013 6:44
ROMA — «Io sono un garantista vero. Di quelli che, finché uno non viene condannato nel terzo grado di giudizio, non si sognerebbero mai di dargli del colpevole. Ma quando il terzo grado di giudizio arriva, allora le cose cambiano. E Berlusconi per me adesso è colpevole».
Non sarà l’ufficializzazione della discesa in campo per la segreteria del Pd, visto che per quella si aspettano le regole. Ma è come se lo fosse. Perché oggi, nei comizi alle feste del Pd di Forlì e Reggio Emilia, Matteo Renzi prenderà di petto l’avversario degli ultimi vent’anni del centrosinistra. Lo stesso con cui adesso i democratici si ritrovano a condividere la maggioranza di governo. E cioè Silvio Berlusconi. Il sindaco lancerà la sua sfida proprio mentre a Genova Enrico Letta parlerà alla festa nazionale del partito.
Il tasto «Berlusconi» è uno di quelli su cui Renzi tornerà a insistere di più. L’adagio che aveva dedicato al Cavaliere nei tempi in cui il Pd discuteva dell’ineleggibilità — «Voterei no perché l’avversario bisogna batterlo sul campo, non squalificarlo» — è stato superato dalla condanna dell’ex premier in Cassazione. Come il tema dell’«ineleggibilità» è stato superato da quello della «decadenza». Un punto, quest’ultimo, su cui il sindaco di Firenze, come finora tutto il resto del Pd, non farà sconti. Con la differenza che, al contrario dei tanti che tra i democratici vorrebbero prendere tempo al Senato per scavallare la data del 15 ottobre e chiudere ogni finestra elettorale, Renzi avrebbe in testa quello che il suo fedelissimo Davide Faraone dice apertamente: «Dobbiamo decidere in fretta, su questo voglio credere che nel Pd non ci siano altre idee».
Renzi ha capito che i margini per un ritorno immediato alle urne si stanno restringendo: «Il governo durerà» anche perché, è la sua lettura, «Berlusconi non ha alcun interesse a farlo cadere». Per questo giocherà la carta della segreteria rimanendo tatticamente distante da qualsiasi attacco frontale nei confronti di Palazzo Chigi. Ma al sindaco ovviamente non è piaciuto il modo in cui il premier, a pochi minuti dall’addio all’Imu, ha superato il tema dei «diciotto mesi» fissati all’epoca dell’insediamento. «Non sarò mai io ad aprire una polemica o a metterlo in crisi. Se c’è bisogno di un nemico, spiacente, non sarò certo io a interpretare questo ruolo. Mi metto di lato», ha detto Renzi in un colloquio con L’espresso . Ma, è stato l’avviso, «le larghe intese non diventino un’ideologia».
La frase ha messo in allarme i governisti del Pd. «Evocare l’ideologia delle larghe intese è già un errore», sussurra Beppe Fioroni. Mentre tra i renziani in Parlamento c’è chi, come il siciliano Faraone, attacca frontalmente Letta («Molto discutibile il fatto che il governo non ha più scadenza. Così il Pd rischia»). «Renzi diventerà segretario ma non darà problemi al governo», scandisce Nicola Latorre, l’ex dalemiano che lo sosterrà al congresso al contrario di Massimo D’Alema, che invece rimarrà con Gianni Cuperlo, e proverà a portare dalla sua un pezzo di ex ds che oggi stanno con Bersani.
E gli altri? Mentre Letta si prepara a chiamarsi fuori dalla contesa congressuale, nel fronte governista del Pd un pezzo significativo potrebbe finire per sostenere lo stesso Renzi. Lo lascia intendere proprio Fioroni: «Se in campo c’è una candidatura dell’80 per cento, io sono contrario a tirarne fuori una del 20. Per cui..». Il sindaco scalda i motori. Ha una rete di amministratori locali già saldata, a cui potrebbero aggiungersi anche Piero Fassino, Ignazio Marino, Debora Serracchiani. E un’idea in testa. Candidarsi come capolista alle Europee per trascinare le liste del Pd. Ma senza poi scegliere il seggio di Bruxelles, ovviamente.
Tommaso Labate
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