Africa e “avorio insanguinato”: verso un futuro senza elefanti?
Così come in Ciad, nella zona sud al confine col Camerun, dove i bracconieri non hanno risparmiato nemmeno le femmine gravide, o nel parco nazionale di Dzanga-Ndoki, nella Repubblica Centrafricana (RCA), dove nel maggio di quest’anno uomini armati di kalashnikov hanno massacrato ben 26 esemplari di pachidermi.
Lo scopo è sempre lo stesso: il commercio illegale dell’avorio, che sul mercato globale clandestino sta raggiungendo cifre sempre più elevate, man mano che la “fonte” diminuisce. Per non parlare dei conflitti e scontri legati ai gruppi armati che imperversano nel continente, provocati, proprio come nel caso dei “diamanti insanguinati” e dei minerali preziosi, dalla fame di “oro bianco” africano da parte degli stati ricchi e della criminalità organizzata mondiale, creatrice di scambi e commerci, facilitata spesso dalle popolazioni locali in cerca di facili guadagni e in lotta contro la fame e la povertà.
A farne le spese sono, ovviamente, gli animali, tanto che, secondo stime del WWF, se le cose non cambieranno, gli elefanti selvatici dell’Africa centrale e occidentale potrebbero scomparire nell’arco dei prossimi 50 anni. Sebbene non si sappia di preciso quanti ne vengano uccisi ogni anno, le associazioni ambientaliste concordano sul fatto che “decine di migliaia” sia una cifra molto verosimile, specie negli ultimi tempi. Anche il numero totale degli elefanti rimasti rimane un mistero: l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) fornisce un dato che va dai 472mila ai 690 mila, ma sono cifre del 2006: negli ultimi anni, infatti, le attività di bracconaggio si sono fatte molto più intense, peggiori perfino rispetto agli anni ‘80, quando la situazione era talmente degenerata che la comunità internazionale è stata costretta a imporre nel 1989 una moratoria che vietava qualsiasi forma di commercializzazione di avorio africano.
Oggi come allora, il motore di questi massacri è come sempre quello degli affari. Secondo i dati dell’IUCN, dal 2007 ad oggi il commercio clandestino di avorio sarebbe più che raddoppiato, soprattutto “a causa di un forte aumento della domanda proveniente dall’Asia, in particolare tra i consumatori di Cina e Thailandia”. Qui, infatti, secondo gli esperti il boom economico ha creato una nuova classe media sempre più numerosa e desiderosa di oggetti ornamentali o da collezione, tanto che un chilo di avorio grezzo a Pechino è arrivato a valere oltre 2600 dollari.
Ed ecco che, in Africa, la caccia all’elefante è diventata un’attività estremamente lucrativa, che riguarda ormai tutti, dai soldati ai ribelli, dalla mafia alle popolazioni locali, perfino gli stessi ranger che questi animali sono chiamati a proteggere. Così, in Costa d’Avorio, che deve il suo nome proprio all’abbondanza di mandrie che un tempo vivevano nel territorio, di avorio non ce n’è quasi più, in Tanzania gli abitanti dei villaggi poveri uccidono i pachidermi avvelenando le zucche e facendole rotolare sulla strada, mentre in Gabon cacciatori locali vengono arruolati da intermediari, soldati o guerriglieri, e pagati a volte con un sacco di sale o due fettine di carne.
Se a questo si aggiungono le incursioni armate di eserciti e para-eserciti, si capisce anche come il bracconaggio sia diventato non solo una questione ambientale, ma un vero e proprio problema di sicurezza in tutto il continente. Tra i gruppi più attivi in questo senso, c’è l’esercito di Resistenza del Signore (LRA), gruppo ribelle ugandese operante dal Congo al Sud Sudan, che secondo un report dell’organizzazione Enough Project starebbe braccando gli elefanti in tutta l’Africa centrale per ricavarne l’avorio con cui finanziare le proprie attività militari. Testimonianze di fuggitivi e disertori dell’LRA raccontano che il signore della guerra latitante Joseph Kony, ricercato dalla Corte penale internazionale per i crimini di guerra e contro l’umanità, avrebbe ordinato ai suoi soldati di uccidere più elefanti possibili, soprattutto nel parco di Garamba, e di portare a lui le loro zanne. Lo scopo? Trasportarle nella Repubblica Centrafricana, da scambiare con contanti, cibo, armi, munizioni e forniture mediche.
Attenzione però: gli stessi soldati dell’esercito regolare ugandese, finanziati dagli Usa per stanare il leader ribelle, non sarebbero estranei all’attività di bracconaggio. Pochi giorni prima del massacro degli elefanti nel parco di Garamba, ad esempio, c’è chi giura di aver visto sorvolare la zona proprio un elicottero dell’esercito ugandese: forse non un caso dato che, dal modo in cui erano disposte le carcasse degli elefanti – tutte radunate insieme, con i più piccoli al centro come se gli adulti li volessero proteggere – e dalla totale assenza di indizi sul terreno, sembra quasi che la mandria sia stata accerchiata via aria, per essere poi sterminata con proiettili sparati dall’alto, in modo estremamente esperto.
Ancora, i ranger di Garamba parlano spesso di guerriglieri Janjaweed, di base nel Darfur, Sud Sudan, che si sospetta siano anche i responsabili della nel mattanza nel parco di Dzanga-Ndoki, nella RCA. E poi ci sono i gruppi islamici, come i somali Shabab, che spesso s’infiltrano in Kenya a caccia di elefanti, sempre per finanziare le proprie attività militari. Non di rado questo tipo di incursioni finisce con scontri a fuoco tra guerriglieri e i guardiani del parco, con tanto di morti e feriti. La criminalità organizzata, anello fondamentale di questa catena, si occupa infine di comprare e far girare l’avorio in tutto il mondo, sfruttando gli stati africani turbolenti e dai confini porosi, i funzionari corrotti, nei porti e nelle dogane così come nei palazzi del potere, dall’Africa sub-sahariana fin verso la Cina e non solo.
Se alcuni stati africani, come il Kenya, hanno intrapreso dei tentativi di arginare il fenomeno, un campanello d’allarme arriva anche dalle Nazioni Unite, con il segretario generale Ban Ki-moon che denuncia come “il bracconaggio e i suoi potenziali collegamenti ad altre attività criminali – anche terroristiche – costituiscano una grave minaccia per la pace sostenibile e la sicurezza in Africa centrale”. Ma questo non basta e, secondo le associazioni ambientaliste, senza un’azione decisa di governi e istituzioni in collaborazione con le popolazioni locali, l’Africa rischia sempre più di diventare “il cimitero dei propri elefanti”.
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