Abbado, Cattaneo, Piano e Rubbia Senatori a vita, le scelte del Colle

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ROMA — Confermare che la Repubblica può essere fonte di onori, oltre che di doveri. Inserire nella nostra Camera Alta, confidando che diano alla vita pubblica nazionale un contributo all’altezza del proprio prestigio, alcune personalità dell’arte, della cultura e della scienza dal profilo indiscutibile. E rafforzare anche così la sempre deficitaria, e moralmente vacillante, autostima degli italiani.
Sono soprattutto questi gli intenti in base ai quali Giorgio Napolitano ha firmato ieri i decreti di nomina dei nuovi quattro senatori a vita: Claudio Abbado, Renzo Piano, Carlo Rubbia ed Elena Cattaneo. Scelte compiute secondo un criterio che stavolta ha escluso investiture d’impronta politica, esposte in questa fase a calcoli di campo o contese recriminatorie, dopo una lunga ricognizione ispirata alla prassi seguita da quello che fu il primo inquilino del Quirinale a esercitare interamente il mandato: Luigi Einaudi. Un esempio paradigmatico, il suo, cui il capo dello Stato ha voluto adeguarsi, non a caso citandolo. Infatti, tra coloro ai quali Einaudi aveva concesso il seggio senatoriale onorario tra il 1948 e il ‘55, ci furono un direttore d’orchestra (Toscanini, che rinunciò), un poeta (Trilussa, che morì dopo pochi giorni), un matematico (Castelnuovo), uno scultore (Canonica), uno storico (De Sanctis), un economista (Jannaccone), un archeologo (Zanotti Bianco) e un solo politico, ma molto speciale, come l’ex esule antifascista e fondatore del Partito popolare, don Sturzo.
Ecco il modello su cui ha fatto base il presidente e che ha portato, dopo qualche mese di approfondimenti e consultazioni incrociate, a far lievitare — su parecchie altre — le candidature di Abbado, Piano, Rubbia e Cattaneo. Quest’ultima, che con i suoi 51 anni rappresenta la personalità anagraficamente più fresca nella storia di tale carica, è un’eccezione maturata intorno ad alcuni precisi requisiti: è una donna, è appunto giovane, ha avuto esperienze internazionali, si occupa di problemi scientifici di grande rilievo sociale. E’, insomma, una figura premiando la quale — come ha spiegato Napolitano in una nota — si è inteso dare «un forte segno di apprezzamento, incoraggiamento e riferimento per l’impegno di vaste schiere di italiane e italiani di nuove generazioni dedicatisi con passione, pur tra difficoltà, alla ricerca scientifica». La logica è stata quindi quella di «premiarne una per incoraggiarne cento», come pare che il presidente abbia scherzosamente detto a qualcuno.
Per gli altri cooptati al Senato in questa veste di rilievo istituzionale è valso invece il principio della “seniority”, chiamiamolo così. Vale a dire che, a parità di autorevolezza conquistata nei vari ambiti, il capo dello Stato ha inteso onorare chi — quantomeno per ragioni di anagrafe — vede riconosciuta da più tempo l’eccellenza delle proprie “doti e curricula”. Come succede, per capirci, nei casi dell’ottantenne direttore d’orchestra Abbado o del settantanovenne scienziato Rubbia rispetto ad altri loro colleghi e potenziali competitori di analogo “prestigio mondiale” in questa partita.
La svolta, anticipata nelle linee generali ieri dal Corriere, porta adesso a cinque il numero dei senatori a vita, considerando pure Mario Monti e senza comunque contare Carlo Azeglio Ciampi, che è senatore “di diritto” in quanto presidente emerito della Repubblica. I ranghi di chi veste il laticlavio di Palazzo Madama per un “motu proprio” quirinalizio ora sono dunque completi. Napolitano ha voluto colmarli in questo scorcio iniziale del suo secondo mandato per due motivi, puntualizzati in un comunicato non necessario, ma che ha sentito il bisogno di fare. Cioè: 1) «dare un segno di serena continuità istituzionale»; 2) «colmare i vuoti tristemente determinatisi nel breve giro di un anno» con la scomparsa di Pininfarina, Levi Montalcini, Andreotti, Colombo.
Certo, il capo dello Stato avrebbe anche potuto lasciare vacanti gli scranni da attribuire a chi ha «illustrato la Patria per altissimi meriti». Ma poiché su questo fronte subisce a intermittenza pressioni (spesso legate a proposte sgangherate, inverosimili o inopportune) ha preferito tagliare corto. Escludendo a sorpresa i politici, e sterilizzando così a priori ogni futuribile polemica, ha deciso di agire prima della ripresa dell’attività parlamentare. Ciò che, dal suo punto di vista, gli ha tra l’altro consentito di non lasciar di fatto decadere (e, anzi, di confermare) una prerogativa assegnatagli dall’articolo 59 della Costituzione, almeno finché questa Costituzione non sarà modificata.
Di più: i nomi sui quali si è concentrato con «passi discreti» e meditati, e che dopo sondaggi e incontri diretti con ognuno dei candidati ha scelto, per lui garantiscono «assoluta indipendenza da ogni condizionamento politico di parte». Punto e basta. Tanto che, quando in serata già divampavano le prime polemiche sulle presunte “appartenenze” dei nuovi senatori a qualche famiglia partitica e su una loro presunta e segreta missione “di soccorso” al premier Enrico Letta, in una telefonata d’auguri a Sky-Tg24, ha detto: «Mi sento come sempre alleggerito, quando si compie un adempimento come quello di oggi». Traducendo in immagini, l’aria era quella di uno che scuote le spalle, incurante di ogni malizioso esercizio dietrologico.
Marzio Breda


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